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È necessario, prima di tutto, chiedersi cosa si intenda con la parola "inferno".

Per i credenti e anche per molti non credenti l'inferno è una realtà che riguarda l'al di là, una realtà quindi ultraterrena di cui parlano quasi tutte le religioni. Ecco un brevissimo accenno almeno di alcune di esse.

1. Le religioni antiche

Plutarco di Cheronea ha scritto un opuscolo dal titolo "Perché la giu­stizia divina punisce tardi", dove parla di castighi inflitti nell'altro mondo e di un luogo dove operano dèi o semidèi a danno di quelli che hanno operato il male nella vita sulla terra. Egli si esprime così: "Tespesio disse che la dea Adrastea, figlia di Giove e della Necessità, aveva nell'altro mondo i pieni poteri di castigare ogni sorta di delitti, e che mai nessun colpevole, grandi o piccole che fossero le sue colpe, era riuscito per forza o per astuzia ad evita­re la pena meritata. Aggiunse che Adrastea aveva ai suoi ordini tre esecutri­ci, tra le quali era diviso il compito dell'esecuzione dei castighi. La prima si chiama Poiné (= la pena, il castigo). Essa punisce in modo lieve e rapido colo­ro che in questa vita sono già stati puniti materialmente nel corpo e chiude benevolmente un occhio su tante cose che meriterebbero un'espiazione.

Quelli la cui perversità richiede rimedi più efficaci, il Genio dei sup­plizi li affida alla seconda esecutrice, chiamata Dike (= la giustizia), perché siano puniti come meritano. Ma quanto a quelli che sono assolutamente inguaribili, una volta che Dike le ha respinti, Erinni, la terza e la più terribi­le delle aiutanti di Adrastea, balza verso di loro, li insegue furibonda mentre fuggono e si disperdono per ogni dove straziati e doloranti, li afferra e li fa precipitare senza misericordia in un abisso che l'occhio umano non ha mai esplorato e che la parola non può descrivere". Guidato da una guida, Tespesio entra in un luogo dove gli si presenta uno spettacolo tristissimo e dolorosissimo: vede amici, compagni e conoscen­ti e lo stesso suo padre in preda a crudeli supplizi. Vede celebri e malvagi col­pevoli della storia, puniti per i loro crimini a tutti noti. Continuando, Plutarco racconta quanto visto da Tespesio: spettacoli penosissimi e agghiaccianti di pene inflitte a colpevoli. "Tespesio vide così i più celebri e malvagi colpevoli della storia, puniti per i loro crimini a tutti noti; questi però erano tormentati molto meno dolorosamente, e si teneva conto della loro debolezza e della violenza delle passioni che li avevano tra­scinati. Ma quelli invece che erano vissuti nel vizio, ed avevano goduto sotto la maschera ipocrita di una falsa virtù, della gloria che spetta alla virtù vera, erano circondati da esecutori di giustizia che li obbligavano a rivoltare l'in­terno delle loro anime, mostrandolo di fuori, come fa quel pesce marino chia­mato scolopendra, di cui si dice che vomiti le proprie interiora per liberarsi dell'amo che ha inghiottito. Altri erano scorticati e, in questa triste condizione, mostrati a tutte le altre anime dagli stessi esecutori del supplizio; costoro mettevano a nudo e facevano notare implacabilmente l'odioso vizio che aveva corrotto le loro anime fino nella loro essenza più pura e sublime. Tespesio narrava di averne visti altri attaccati e annodati insieme, come serpenti, che si divoravano l'un l'altro con furore rammentando i loro delitti e le passioni velenose che aveva­no nutrito in cuore. Non lontano da quel luogo si trovavano tre stagni: il primo era pieno di oro fuso e bollente, il secondo di piombo più freddo del ghiaccio, il terzo di ferro aspro e duro. Demoni addetti a quegli orribili laghi tenevano in mano certi strumenti con i quali afferravano i colpevoli e li tuffavano negli stagni o li tiravano fuori, come il fabbro ferraio quando lavora i metalli. Per esempio, gettavano nell'oro incandescente le anime di coloro che in vita avevano ubbi­dito alla passione dell'avarizia e non avevano tralasciato alcun mezzo per arricchirsi; poi, quando la violenza del calore le aveva rese trasparenti, i demoni si precipitavano a spegnerle nel piombo gelido; quando le anime, dopo questo bagno, avevano preso la consistenza di un pezzo di ghiaccio, le gettavano nel ferro, dove divenivano orrendamente nere (...). Durante questi successivi mutamenti, soffrivano dolori indicibili". A questo punto così chiosa il De Maistre: "Si osservino le traduzioni antiche e universali su questo spaventoso abisso da cui la speranza, che pure si trova ovunque, è scacciata per sempre" (J. MILTON, Il Paradiso perduto, 1, 66-67), "dove non si può né vivere né morire" (Corano, 87). Plutarco chiama questi infelici "assolutamente inguaribili" (...) una espressione di Platone del Gorgia. "Costoro, egli scrive, essendo inguaribili, soffriranno in eterno spaventosi supplizi". Per un'idea sull'inferno dei romani, basta leggere 1'Eneide di Virgilio. Notorio poi il culto per i morti presso gli Egizi. Per costoro "I cattivi esclusi dal luminoso regno dei morti, giacciono... affamati e assetati, nel buio del regno sotterraneo". Non è proprio l'inferno, ma qualcosa che vi si avvicina abbastanza.

2. L'Islamismo

L'ìnferno è il luogo del castigo eterno per i soli miscredenti, che sono tutti coloro che non abbracciano l'Islamismo. Consiste nel "fuoco ardente" e nella collera di Dio. La sura 32 recita: "Riempirò l'inferno di geni e di uomi­ni di ogni tipo". "Durante il Giudizio Universale, le buone e cattive azioni degli uomi­ni, che sono state registrate su un libro, saranno pesate su di una bilancia. Gli uomini dovranno poi attraversare il golfo dell'inferno su un ponte più sottile di un capello e più affilato di una spada, mentre sotto di loro gli inferi spa­lancheranno le fauci per inghiottire coloro che cadranno e precipitarli nelle loro sei bolge. Gli infedeli diverranno schiavi dell'inferno e bruceranno tra le sue fiamme (sura 19 e 47); i credenti potranno invece scampare al baratro e giungere in paradiso".

3. L'Ebraismo

Presso gli Ebrei "l'idea dell'inferno si va preparando con l'evoluzione nel modo di immaginare lo sheol" ritenuto dapprima come "un luogo indistin­to, un vero domicilio comune dei morti. (...) Il grado definitivo d'evoluzione è costituito dai salmi mistici (salmi 16, 49 e 73): il giusto spera che Dio lo libe­ri dallo sheol e che lo porti con sé. È chiaro che, se il giusto va con Dio per una comunità di vita e d'intimità con Lui, solo gli empi restano nello sheol. Così lo sheol si trasforma, da domicilio comune dei morti, in inferno". "Il libro della Sapienza continua questa stessa prospettiva: la sorte dell'empio, che è chiamata morte ed è descritta come dolorosa (cf. Sap 4, 19), è la permanenza nello sheol, mentre i giusti hanno una vita eterna in comu­nità con Dio".

4. Il senso comune

Parlando di senso comune, intendiamo rifarci particolarmente a quanto crede in genere il popolo o la massa e anche uomini rappresentativi soprattut­to del mondo delle lettere e della filosofia, guidati dai suddetti criteri di discer­nimento. La nozione filosofica, (non sociologica) di senso comune ci viene così presentata da A. Livi in un articolo storico-critico: "Insieme organico e gene­tico delle evidenze empiriche primarie, dalle quali derivano i primi principi universali (speculativi e morali) e tutte le successive certezze dell'esperienza, dell'inferenza e della testimonianza". La filosofia del senso comune "serve tra l'altro, a far riflettere i cri­stiani sulle pretese di verità umana delle altre religioni (pretese infondate) con le garanzie di verità divina offerte dal messaggio evangelico, una verità testimoniata da Dio stesso fatto uomo e da coloro che Egli scelse come testi­moni della sua resurrezione, dopo aver indicato proprio la sua resurrezione come segno supremo o prova razionale della sua divinità, e pertanto della sua credibilità". Ebbene per la grande massa del popolo e anche per gli intellettuali più aperti alla realtà, l'inferno è il luogo e lo stato di castigo ultraterreno per tutti gli empi, che tali sono stati fino all'ultimo giorno della loro vita. In pratica, l'inferno è la terribile condizione di chi ha perduto Dio per sempre. Il divin poeta Dante Alighieri - che può dirsi anche, in qualche modo, l'eco, oltre che della teologia, anche del senso comune - lo presenta già nella terribile scritta che legge sulla porta d'entrata: "Per me si va nella città dolente, / Per me si va nell'eterno dolore, / Per me si va tra la perduta gente ". "Lasciate ogni speranza voi che entrate ". Poi descrivendolo in qualche modo in una prima impressione, scrive: "Quivi sospiri, pianti ed alti guai / Risonavan per l'aer senza stelle, / Perch'io al cominciar ne lagrimai. / Diverse lingue, orribili favelle, / Parole di dolore, accenti d'ira, / Voci alte e fioche e suon di man con elle, / Facevan un tumul­to il qual s'aggira / Sempre in quell'aria senza tempo tinta, / Come la rena quando il turbo spira".

5. La religione cattolica

All'insegnamento della Chiesa Cattolica abbiamo già accennato, ripor­tando quanto detto da Concili e Documenti ecclesiali sull'inferno. Ma ci viene pure presentato, in modo chiaro e completo, dal relativamente recente Catechismo della Chiesa Cattolica e dall'ancora più recente Compendio, apparsi in questi ultimi anni. "La Chiesa nel suo insegnamento - recita il Catechismo - afferma l'esi­stenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, il fuoco eterno. La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira". E ancora: "Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la sua retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una puri­ficazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre". Il Compendio dello stesso Catechismo si esprime così: l'inferno "con­siste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale. La pena principale dell'inferno sta nella separazione eterna da Dio, nel quale unicamente l'uomo ha la vita e la felicità, per le quali è stato crea­to e alle quali aspira. Cristo esprime questa realtà con le parole: Via, lonta­no da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25,41). Il Catechismo-Compendio si pone pure la domanda come conciliare l'esistenza dell'inferno con l'infinita bontà di Dio. Risponde così: "Dio, pur volendo ‘che tutti abbiano modo di pentirsi’ (2 Pt 3,9), tuttavia, avendo crea­to l'uomo libero e responsabile, rispetta le sue decisioni. Pertanto, è l'uomo stesso che, in piena autonomia, si esclude volontariamente dalla comunione con Dio se, fino al momento della propria morte, persiste nel peccato morta­le, rifiutando l'amore misericordioso di Dio". L'inferno ha principio con la caduta degli angeli che "creati buoni da Dio, si sono trasformati in malvagi, perché, con libera e irrevocabile scelta, hanno rifiutato Dio e il suo Regno, dando così origine all'inferno". L'inferno non è da confondersi con gli inferi, dei quali si dice di Cristo risorto: "Discese agli inferi...". "Gli inferi - diversi dall'inferno della dannazione - costituivano lo stato di tutti coloro, giusti e cattivi, che erano morti prima di Cristo. Con l'anima unita alla sua Persona divina Gesù ha raggiunto negli inferi i giusti che attendevano il loro Redentore per accedere infine alla visio­ne di Dio". La religione cattolica insegna pure che la dannazione all'inferno è il castigo riservato a tutti i negatori di Dio e trasgressori coscienti dei suoi comandamenti. "...Per i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immo­rali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte" (Ap 21,8). Essi non avranno parte al regno e alla felicità eterna: "Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna" (Ap 22,15). L'inferno è dunque una realtà che riguarda l'altra vita, che segue alla morte e al giudizio di Dio, subìto da ogni uomo immediatamente dopo la morte. Pur ammettendo che certe situazioni della vita temporale terrena si rivelino dei veri e propri inferni; l'inferno, nella sua più vera e autentica essenza, si riferisce all'aldilà e riguarda esclusivamente l'altra vita e quanto si accompagna o segue alla dannazione e al fallimento della vita. Dannazione e fallimento, perché, per la dottrina cattolica, l'uomo è chiamato a partecipa­re alla vita e alla felicità di Dio stesso, ciò che viene raggiunto con l'accetta­zione e l'adempimento della Parola di Dio. Per chi non raggiunge lo scopo, è il fallimento completo della vita: egli non solo non vedrà Dio né parteciperà ai suoi beni, ma va incontro all'infeli­cità completa. Purtroppo, alla luce della ragione e ignorando in gran parte tutta la portata delle tendenze fondamentali dell'uomo, difficilmente si riesce a capire quale spaventosa e irreparabile tragedia rappresenti questo fallimento. Lo si può vedere, almeno in qualche modo, oltre che da quanto ci rivela la fede, anche dalle rivelazioni dei Santi. Come si vede, la credenza in un aldilà di vita o di morte eterna la si ritrova presso tutti i popoli e in tutte le religioni che non insegnano l'assorbi­mento e l'annientamento in dio o nel nulla, o nella reincarnazione. Non è poco! Credenze così universali suppongono o quell'indistruttibile senso comune che si immedesima quasi con la natura umana o tracce di rivelazione dall'alto, inquinatesi magari lungo i secoli di elementi fantastici ed erronei che, però, non oscurano del tutto il nucleo essenziale.

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Discendiamo all'inferno fin che siamo vivi (cioè riflettendo su questa terribile realtà) - diceva Sant'Agostino - per non precipitarvi dopo la morte".
nell'aldilà