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CORRIERE DELLA SERA
17 luglio 2007
L'accusa del fratello di Borsellino: ucciso dal patto Stato-mafia
di Alfio Sciacca

PALERMO - «Di quante altre stragi, di quanti altri morti avremo ancora bisogno perché da parte dello Stato ci sia finalmente quella reazione decisa e duratura, come finora non è mai stata, che porti alla sconfitta della mafia e soprattutto dei poteri, sempre meno occulti, a essa legati?». Un interrogativo intriso di sfiducia e pessimismo. Un tono decisamente in controtendenza rispetto alle valutazioni di tanti inquirenti che invece ritengono che, nella lotta alla mafia, dei passi avanti siano stati fatti. Comunque una pietra nello stagno a pochi giorni dal quindicesimo anniversario della strage di via D'Amelio in cui vennero uccisi il giudice Borsellino e gli uomini della scorta. In una lunga lettera aperta il fratello del magistrato, Salvatore Borsellino, 65 anni, che da tempo vive a Milano, solleva interrogativi chiamando in causa magistrati e politici. «Chiedo al procuratore Giammanco, allontanato da Palermo dopo l'assassinio di Paolo, perché non abbia disposto la bonifica e la zona rimozione per via D'Amelio. Eppure nella stessa via era stato da poco scoperto un covo di Madonia. E le segnalazioni di pericolo reale in quei giorni erano tali da far dire a Paolo lo stesso 19 luglio: è arrivato in città il carico di tritolo per me». E poi rivolto ai magistrati di Caltanissetta chiede le ragioni delle archiviazioni del filone d'inchiesta sulle telefonate che dopo la strage partirono «dal cellulare clonato di Borsellino a quello del funzionario del Sisde Contrada» e di quella sui mandanti occulti. Ma soprattutto invita la Procura nissena a non archiviare l'inchiesta sulla famosa agenda rossa nella quale Borsellino appuntava tutto e dalla quale non si separava. L'agenda fondamentale per capire a cosa stava lavorando in quei giorni non è stata mai ritrovata.
Quindi chiama in causa il vicepresidente del Csm ed ex ministro dell'interno Nicola Mancino: «Chiedo al senatore Mancino di sforzare la memoria per raccontarci di che cosa si parlò nell'incontro con Paolo nei giorni immediatamente precedenti la sua morte. O spiegarci perché, dopo aver telefonato a mio fratello per incontrarlo, mentre stava interrogando Gaspare Mutolo, a sole 48 dalla strage, gli fece invece incontrare il capo della polizia Parisi e il funzionario del Sisde Contrada. Da quell'incontro Paolo uscì sconvolto ». Ma ieri sera Mancino ha smentito la circostanza: «Non c'è stato alcun incontro. Il giorno del mio insediamento al Viminale, il primo luglio 92, ho salutato diverse persone. Non posso escludere che tra queste vi fosse anche Borsellino, che comunque non aveva chiesto un incontro formale né lo aveva ottenuto. E' vero invece che si incontrò con Parisi. Del contenuto del colloquio io non sono stato portato a conoscenza ». Secondo Salvatore Borsellino il movente della strage sarebbe da ricercare in «quell'accordo di non belligeranza tra lo Stato e il potere mafioso che deve essergli stato prospettato nello studio di un ministro negli incontri di Paolo a Roma nei giorni precedenti la strage. Accordo al quale Paolo deve di sicuro essersi sdegnosamente opposto».




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L'UNITA'
17 luglio 2007
E il fratello polemizza con Mancino
Salvatore Borsellino: «Racconti il colloquio con Paolo». Il vicepresidente del Csm: «Mai visto»

Risposte alle domande che non gli «lasciano pace». A chiederle in una lettera aperta è il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore. Perché da quel 19 luglio del 1992 dice di non aver mai ottenuto risposta ai suoi dubbi e adesso, a due giorni dall'anniversario della strage chiede che gli siano fornite: «Chiedo al senatore Nicola Mancino, del quale ricordo negli anni immediatamente successivi al 1992 una lacrima spremuta a forza durante una commemorazione di Paolo a Palermo, di sforzare la memoria per raccontarci di che cosa si parlò nell'incontro con Paolo nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte (il 1° luglio, quando Mancino venne nominato Ministro dell'Interno, ndr). O spiegarci perché, dopo aver telefonato a mio fratello per incontrarlo mentre stava interrogando Gaspare Mutolo, a sole 48 ore dalla strage, gli fece invece incontrare il capo della Polizia Parisi e il dottor Contrada». Perché, dice, «da quell'incontro Paolo uscì sconvolto tanto, come raccontò lo stesso Mutolo, da tenere in mano due sigarette accese contemporaneamente». Inoltre, afferma «in quel colloquio si trova sicuramente la chiave dalla sua morte», perché in quel periodo si consumò uno «scellerato accordo di mutuo soccorso stabilito negli anni tra lo Stato e la mafia».
Accuse respinte con fermezza da Nicola Mancino, attuale vicepresidente del Csm: «Pur comprendendo l'amarezza del sig. Borsellino, devo ulteriormente precisare che non posso confermare un incontro che non c'è stato». E continua: «Quanto alle domande, non posso che confermare ciò che già in due occasioni ho testimoniato davanti alla magistratura, e cioè che il giorno del mio insediamento al Viminale ho salutato e sono stato complimentato da numerosissime autorità e persone, molte da me conosciute, molte incontrate per la prima volta. Non posso escludere che tra questi vi fosse anche il dott. Paolo Borsellino, che comunque non aveva chiesto a me un incontro formale, nè lo aveva ottenuto. È vero invece che il dott. Borsellino si incontrò con il Prefetto Parisi, allora Capo della Polizia. Del contenuto di questo colloquio, io non sono stato portato a conoscenza».




INES TABUSSO