00 02/06/2007 18:03
LA REPUBBLICA
29 maggio 2007
Il Muro settentrionale
Alberto STATERA


E’ Verona, la tradizionale "Bologna bianca", virata per una breve stagione al rosa, e tendente da oggi quasi al nero che simboleggia il vallo tra le due Italie, un vallo non più solo geografico, non solo antipolitico, ma antropologico. Alessandria, Vercelli, Como, Varese, molte le vittorie scontante del centrodestra. Ma Verona no, Verona è l’icona del Nord che se ne va, che evade definitivamente, che non concede più prove d’appello al centrosinistra, incapace di confezionare le «scorciatoie mentali» che hanno dimostrato di pagare tra Padania e Pedemontana: immigrazione, prostituzione, sicurezza e meno tasse, Ici e addizionali, tanti parcheggi, poca cultura.
Pochi slogan elementari, se possibile feroci, perché non catturano più nel Veneto cattolico e peccatore le «fumisterie» solidaristiche del Vescovo, «alibi» della sinistra per coprire l’incapacità di scelte esplicite e forti. Figurarsi la «redistribuzione», concetto di moda a Roma, che il leader nazionali ripetono incoscientemente anche in campagna elettorale sulle sponde del Po. «Redistribuire? Redistribuiscano a noi quelli di Roma», ci ha detto un ricco commerciante del "Listòn" veronese, faticando a capire il concetto stesso di redistribuzione.

Aveva un sindaco moderato, un avvocato ex democristiano, la ricca e moderatissima Verona, talmente moderata che per un mese Forza Italia e Udc litigarono su quale dei loro possibili candidati fosse il più moderato. Poi arrivò Umberto Bossi che senza colpo ferire convinse Berlusconi a scegliere come candidato unitario il leghista più trinariciuto del Triveneto, il giovane assessore regionale Flavio Tosi, un signore che una volta si presentò in comune con una tigre al guinzaglio lanciando lo slogan "el leon che magna el teròn". Bell’effetto sul proscenio della «leaderizzazione» locale, una specie di parodia di quella nazionale. Paga più la moderazione di un avvocato "understatement", timorato e ben visto nei centri del potere economico, che non ha fatto male nel suo quinquennio, o quella di un giovanotto, capace di fulminee «scorciatoie mentali» per chi lo ascolta? Più i faticosi ragionamenti di Prodi o i fulminanti slogan di Berlusconi? Condannato in secondo grado per violazione della legge Mancino avendo propagandato «idee razziste», la leggenda metropolitana veronese dice che quella condanna, nata da un’inchiesta del Pm Papalia, è stata il vero, grande assist per l’elezione quasi a furor di popolo di Flavio Tosi. Il che, tra l’altro, la dice lunga sul fenomeno Bossi, che guida un partito ai minimi termini e divorato dalle lotte intestine, ma - genio del parassitismo politico e tuttora massimo interprete dell’anima padana - riesce a imporre e a far vincere i candidati scelti da lui. Ciò che fa infuriare il governatore forzista del Veneto Giancarlo Galan, il quale sulla scelta leghista per Verona, che l’altra volta lui non azzeccò aprendo la strada al candidato di centrosinistra, chiese addirittura le dimissioni dei coordinatori nazionali Bondi e Cicchitto, minacciando di creare Forza Veneto, per la quale - pare ovvio - dovrebbe ormai chiedere consulenza a Bossi. In fondo, funziona ancora e sempre da tre lustri il «modello Gentilini», sindaco al terzo mandato (ora formalmente nel ruolo di prosindaco) di Treviso, quello che tolse le panchine agli immigrati e consigliò di sparargli come ai leprotti. Il paradosso è che dopo tanti anni di dichiarato razzismo del primo cittadino, Treviso risulta la città del Nord con una delle migliori integrazioni degli immigrati extracomunitari. Vuol forse dire che le «scorciatoie mentali» servono alla politica per prendere voti, ma che poi funzionano canali sotterranei di compensazione della locale classe dirigente? Dove l’avrebbero spedito Gentilini le decine di migliaia di imprenditori trevigiani, se davvero gli avesse negato la necessaria manodopera straniera? Dove s’incontrano poi «scorciatoie mentali» e business, lì è il vero regno di Bossi. Come a Monza, dove ha imposto il candidato leghista Marco Mariani, più moderato, ma più «business oriented», che ha vinto con una campagna elettorale affidata al progettista di una grande speculazione immobiliare della famiglia Berlusconi, la «Milano-4», che ora certamente si farà in quel di Monza per replicare i successi di «Milano-2» e «Milano-3», con il fattivo appoggio del governatore lombardo Roberto Formigoni, nel nuovo capoluogo della nuova Provincia brianzola, già costata alcune decine di milioni. La destra ne ha fatto un cavallo di battaglia, la gente la Provincia la vuole, ma poi si schifa per i costi della politica. Solo quella degli altri? A Monza, altro presunto luogo felice di moderazione, abbiamo assistito a un comizio allo stato di «preparola» di Gianfranco Fini su come cacciare immigrati e puttane - ovazioni - e, il giorno dopo, ad uno di Walter Veltroni, assai meno affollato, sullo «spirito di servizio» e sul sindaco santo di Firenze Giorgio La Pira, che le ragazzotte minigonnate trascinate in piazza Trento e Trieste pensavano fosse un gelato.

L’antipolitica non si celebra nella sala ovattata della Musica di Renzo Piano, con Luca Cordero di Montezemolo che sul palco legge il gobbo elettronico, si consuma al seggio di Monza o di Gorizia, anch’essa persa per insipienza dal centrosinistra, dove del Partito Democratico nulla sanno e soprattutto nulla vogliono sapere. L’antipolitica si fa nell’incrocio dello smercio europeo di droga a Verona, si fa alla «Cascinazza» di Monza, dove Paolo Berlusconi costruirà quasi un milione di metri cubi. L’ondata antipolitica nasce dalle piccole scelte leaderistiche, nazionali e locali, dei partiti in crisi, nei quali l’elettore non si ritrova più e corre alla ricerca della scorciatoia mentale, di cui Bossi, nonostante la malattia, resta uno dei migliori interpreti sulla piazza. Fosse stato per Berlusconi e Galan, gli obiettivi veneti sarebbero stati persi, mentre per Monza, quartiere milanese, l’odore del business è invincibile.
Poi, c’è l’effetto «Berlusconi mancante», che ha prodotto un calo della partecipazione del voto a sinistra. Se non c’è lui, che odio, perché devo andare a votare? Croci e delizie del leaderismo. Ma, per favore, nessuno ci racconti più, tre lustri dopo la dicci, di un Nord cattolico e moderato.




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CORRIERE DELLA SERA
17 maggio 2007
il Personaggio
Il candidato con la tigre al guinzaglio
Tosi, il clone di Gentilini: i miei nemici? Zingari e poteri forti Il candidato sindaco Cdl a Verona che al Comune portò una tigre al guinzaglio: della condanna per razzismo vado fiero

Aldo Cazzullo


* * * DOSTOEVSKIJ E KAFKA
«Ho la maturità classica e ho letto Dostoevskij e Kafka, ma per tutti i leghisti devono essere gente incolta»


* * * IL GIARDINO DEL «PRADAVAL» «Il sindaco ha mandato vigili e attori che recitano poesie con costi faraonici. Io voglio carabinieri e polizia che arrestino tutti»



VERONA - «Tosi: Verona ai veronesi, basta zingari e poteri forti» è l' indimenticabile titolo con cui la Padania ha lanciato la sua candidatura a sindaco. «Aggiungerei i pedofili» specifica lui. Modello dichiarato: il prosindaco sceriffo di Treviso, l' altro giorno in visita elettorale a Verona. «E non c' è niente da ridere - dice Flavio Tosi -. Sono leghista dal 1990, conosco il grande Gentilini da allora, siamo amici. Ha un linguaggio colorito perché lui è così: un vulcano. A ottant' anni ha un' energia straordinaria: un vero alpino, orgoglioso della sua razza Piave come io lo sono dei veronesi. Credo che sarebbero felici se la loro città fosse come Treviso: ordinata, pulita, decorosa. La vera integrazione: regole, diritti, doveri. Voi di Gentilini scrivete male, ma i trevigiani lo adorano». «A Verona non vogliamo togliere le panchine e le fontanelle per far dispetto agli stranieri» dice il sindaco in carica, Paolo Zanotto della Margherita, figlio di Giorgio, storico sindaco democristiano e fondatore della banca popolare. «Una figura di rilievo - concede Tosi -. Nel dopoguerra la Dc e uomini come Giorgio Zanotto hanno saputo rappresentare l' anima veneta. Ma il figlio l' ha tradita. Altrove non è così. Zanonato, il sindaco Ds di Padova, mi piace: ha fatto il muro di via Anelli, ora si batte contro la prostituzione. Zanotto invece dà le case del Comune agli extracomunitari e spende i nostri soldi per gli zingari». Zingari e poteri forti. «Non c' è niente da ridere. Le banche devono fare il loro mestiere, la politica il suo. E' giusto dialogare, confrontarsi. Ma le decisioni devono prenderle i veronesi e i loro rappresentanti, non gente venuta da fuori. Quanto agli zingari, il campo Rom di Boscomantico è una fucina di criminalità totalmente fuori controllo: sequestri, furti, scippi, spaccio di droga e un torbido mercato di bambini, di cui ha usufruito pure un galantuomo che lavorava per il Comune e ora è in galera». Qualche guaio con la giustizia l' ha avuto pure lui, Tosi: condannato in primo e secondo grado per aver violato la legge Mancino contro il razzismo e aver espresso «un' innegabile idea di superiorità e sentimenti di odio», come da motivazione del tribunale. Anche per questo Berlusconi, tramontata la candidatura dell' ex direttore miliardario della Rai Meocci, per riconquistare Verona avrebbe preferito affidarsi a un «potere forte», il presidente della Fiera Luigi Castelletti. Ma la Lega si è impuntata, d' intesa con An, qui in mano ai fratelli Alberto e Massimo Giorgetti, vigorosi e temuti come i gemelli Kascinsky. E in una cena sulla villa di Bardolino di Aldo Brancher, presenti Berlusconi e Bossi, si è deciso di puntare su Tosi. Se i sondaggi che lo danno in testa saranno confermati tra dieci giorni, sarà lui il personaggio simbolo di queste amministrative, e delle difficoltà della sinistra ad affrontare la questione sicurezza e il rapporto con il mondo cattolico. Cinque anni fa il vescovo francescano Carraro sostenne discretamente Zanotto. Oggi al suo posto c' è monsignor Zenti, considerato il nuovo Maggiolini. «La Curia questa volta non si schiera» - dice Tosi, molto attivo comunque nelle parrocchie e pure nei conventi, - stamattina sono stato dalle monache serve di Maria oblate sacerdotali. Il Comune vuole costruire un complesso edilizio di fronte al convento di clausura. Sono stato pure al Family Day». Anche Zanotto, però. «Sì, ma uomini della sua lista sono andati in piazza Navona. Per me la Chiesa è un baluardo dei valori dell' Occidente, come dimostra l' elezione di Benedetto XVI. Quanto alla condanna per razzismo, ne vado fiero. La rivendico. La legge Mancino è un abominio giuridico. Pago per aver raccolto le firme contro il campo nomadi, per aver difeso la mia gente, la mia terra. E comunque la ricetta per risolvere la questione è semplice: tirare via tutto». Capelli cortissimi, occhi azzurri, mai una cravatta «se non sui manifesti elettorali», come nota Bobo Maroni ieri a Verona sulle orme di Gentilini, Tosi vanta «una delle prime tessere leghiste del Veneto». Classe 1968, i giornali lo definiscono perito informatico, «ma non è vero, ho la maturità classica. Ho fatto due anni di ingegneria a Brescia e al Politecnico di Milano, ho letto Dostoevskij, Kafka, Pirandello, ma per voi i leghisti devono essere incolti. Mi sta bene: viviamo con il popolo, per il popolo». Dal 2005 è assessore regionale alla Sanità, terzo in Italia per preferenze (28 mila). Quando era consigliere comunale si presentò con una tigre al guinzaglio («ma era solo per fare pubblicità al circo padano!»). Una sua simpatica proposta finì sul Wall Street Journal: «In una sorta di ritorno alla segregazione stile Alabama di un tempo, un politico italiano ha chiesto di creare entrate separate sui bus per gli extracomunitari e per gli autoctoni, rispettosi della legge e bianchi» («volevo solo che gli immigrati entrassero dalla porta anteriore per controllare più facilmente i loro biglietti!»). Il legittimo timore può diventare ossessione, se uno dei temi della campagna elettorale è il Pradaval, un giardino minuscolo che la sera diventa però il centro dello spaccio. «Il sindaco ha pensato di cavarsela con qualche vigile e con attori che recitano poesie e favole, con costi faraonici: se si facesse tutto l' anno, per 12 ore al giorno, sarebbero 240 mila euro. Costa molto meno la mia ricetta: niente poesie; vigili, polizia e carabinieri, e arrestare tutti». Verso Bossi ha maturato un severo distacco critico: «Oltre che un grande politico, è l' unico statista di statura internazionale che abbiamo avuto nel dopoguerra, insieme con Berlinguer e forse Moro. Un uomo di visione prospettica, capace di guardare al di là del tempo, di dire dieci anni fa le cose che accadono oggi». Calderoli? «Una mente vivace, un ingegno abile. Sulla devolution è stato perfetto». Maroni, Castelli? «Splendidi ministri». Borghezio? «Lo ammiro. In una realtà socialmente difficilissima come Torino, percorsa da criminali e no global violenti, ha il coraggio di metterci la faccia, di esporsi ai colpi». Berlusconi? «Ottimo imprenditore, buon comunicatore. Ma un partito non è un' azienda». Prodi? «Figura di secondo piano, rispetto a D' Alema e allo stesso Veltroni». Nell' attesa, Tosi dovrà affrontare Fabio Testi, l' attore che al termine di una vita erotico-sentimentale da divo di Hollywood ora si candida a sindaco «in nome dei valori della famiglia», e l' ex operaio Fabio Aurietti che si chiama ora Laurella, prontamente detta «la Luxuria de noaltri», il cui conseguente slogan è «Verona può cambiare». I candidati in tutto sono undici, domani si affronteranno al Teatro Nuovo in un confronto organizzato dal Corriere di Verona. Tra gli argomenti, il centro sociale occupato La Chimica, «una delle aree off-limits in cui la polizia non entra - dice Tosi -. Lo stabile è del Comune, che però non ha fatto nulla per riprenderselo». Anche qui però lui ha una ricetta: «Smantellare tutto».





INES TABUSSO