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LA REPUBBLICA
31 gennaio 2007
Se passa l'articolo salva-Pollari
Giuseppe D' Avanzo

Ci sarà tempo per discutere della qualità tecnica e modernità della riforma dei servizi segreti; dell´efficienza e delle garanzie che promette. Il testo, approvato dalla commissione Affari Costituzionali della Camera, non è ancora definitivo. Ha molta strada da fare in Parlamento e, lungo la strada, ci saranno senza dubbio altre correzioni e ritocchi. Qui interessa dar conto di una "sorpresa" fiorita nel testo senza alcun preavviso o discussione perché appare utile provare a prevederne subito qualche effetto immediato e di lungo periodo.
L´articolo 39 della riforma ("Tutela del segreto di Stato") vieta agli agenti segreti (quale che sia la loro funzione e il loro contratto) «di riferire riguardo ai fatti coperti dal segreto di Stato», «ove interrogati o esaminati dal pubblico ministero, da un giudice o dalla polizia giudiziaria». La novità assoluta – mai discussa nei lunghi mesi del confronto parlamentare – è stata approvata alla chetichella, a notte fonda.
Finora l´opposizione del segreto di Stato è stata un´opportunità, un dovere garantito soltanto agli agenti segreti ascoltati come testimoni («esaminati» è il termine tecnico) dalla magistratura. Le nuove regole estendono l´opportunità (o il dovere) anche all´agente segreto, che viene «interrogato» come imputato da un giudice, da un poliziotto o da un pubblico ministero.
Della norma, della sua ragionevolezza o necessità si può e si dovrà discutere, ma è un fatto: quella norma che, fino a qualche tempo fa, nessuno ha proposto alla discussione pubblica, oggi (secondo molti) potrebbe risolvere una volta per tutte i guai giudiziari di Nicolò Pollari, fino a dicembre direttore del Sismi e oggi indagato a Milano per il sequestro di un cittadino egiziano (Abu Omar).
Accade questo. Il generale, dinanzi al giudice, rintuzza le accuse sostenendo che il segreto di Stato gli impedisce di difendersi come potrebbe e saprebbe. I pubblici ministeri gli obiettano che, per la Corte Costituzionale, il diritto alla difesa è prevalente sul segreto di Stato: che allora si difenda, se può. Nell´impasse, gli avvocati di Pollari chiedono che, a decidere, sia la Consulta con argomenti che (per coincidenza) si sposano come per un matrimonio d´amore con le ragioni del Legislatore. Come è naturale nella sospettosissima Italia, la circostanza sollecita cattivi pensieri.
L´inatteso emendamento è ad personam? È il passo laterale con cui il ceto politico vuole liberare dalla stretta un Pollari custode di molti segreti? Non aiuta a diradare l´equivoco la giornata confusa e infelicissima in cui incappa il presidente della Commissione Affari Costituzionali, Luciano Violante. Giurista, politico di lungo corso, già presidente della Camera e legislatore informatissimo per gli affari di giustizia e di intelligence, Violante annuncia la nuova legge scivolando in troppi strafalcioni per un uomo della sua sapienza ed esperienza. Dice che, con il nuovo testo, i servizi segreti non potranno più ingaggiare giornalisti, come è accaduto al Sismi di Pollari con il vicedirettore di Libero (la legge attuale già lo vieta). S´infuria a sentir parlare di emendamento ad personam perché, dice, già oggi l´imputato può – anzi, deve – opporre il segreto di Stato. Abbiamo visto, come fa osservare anche il pm Armando Spataro, che la legge in vigore concede inequivocabilmente quest´opportunità soltanto al testimone (a meno che Violante non interpreti la norma con una certezza che va oltre gli stessi argomenti proposti dalla difesa di Pollari). Sorprende poi che Violante non muova la sola carta che liquida il dubbio di un "aiutino" ad personam: la legge in discussione esclude tra le «speciali cause di giustificazione» il sequestro di persona di cui deve rispondere Pollari, perché «delitto che mette in pericolo l´integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale e morale delle persone». Perché Violante non l´ha giocata?
La nuova legge non è dunque ad personam, ma è senza dubbio ad casum perché, come ammettono senza doppiezze i più lucidi nella maggioranza, «il caso Pollari ha svelato i "buchi" nel sistema, e noi abbiamo voluto porvi riparo».
Vediamo come. Perché la soluzione offerta per l´impiccio di Pollari ci dice la più autentica logica che ha ispirato la riforma dei servizi segreti. Vietando espressamente, anche agli imputati, di rispondere alla magistratura, il legislatore esclude la giurisdizione dal circuito istituzionale che garantisce la sicurezza nazionale. Come paventava già qualche tempo fa Nello Rossi, segretario dell´Associazione magistrati, la giurisdizione – nella riforma dei servizi segreti – è «sospesa, aggirata, vanificata».
Forse accade qualcosa di più: alla magistratura è interdetto l´esercizio della sua funzione di accertamento delle responsabilità. Se si oppone il segreto di Stato, l´autorità giudiziaria è interdetta esplicitamente dal raccogliere e utilizzare, anche indirettamente, le notizie coperte dal segreto (art. 39, comma 6) . Nel "caso Pollari", le testimonianze dei suoi uomini, che lo accusano, sarebbero inutilizzabili nel processo. Nasce, nell´azione dello Stato, un´area "protetta", fuori da un esame ordinario. La legge lascia slittare il controllo dell´attività dei servizi segreti, dal territorio governato dalla dialettica istituzionale dove la magistratura svolge il suo ruolo di contrappeso, a un terreno esclusivamente politico che rende il capo del governo il solo dominus in un "dialogo" con il Parlamento (comitato di controllo). Innovazione naturalmente legittima, se approvata dal Parlamento, come legittimo è chiedersi chi controllerà il presidente del Consiglio e i suoi servizi segreti?
Esclusa la magistratura, il solo controllo previsto dalla nuova legge è assegnato alla Corte Costituzionale, cui «in nessun caso, è opponibile il segreto di Stato». In caso di conflitto di attribuzione (del governo con il Parlamento o con la magistratura), «la Corte Costituzionale ha pieno accesso agli atti del procedimento e al provvedimento di autorizzazione del presidente del Consiglio». Detto più semplicemente, la Corte valuta se "tengono" le ragioni opposte dal capo del governo nell´opporre il segreto di Stato a ogni curiosità. Diventata l´ago della bilancia, la Corte Costituzionale ha due possibili strade da percorrere: o svolge un ruolo "burocratico" di controllo delle carte o, acquisita la documentazione, decide "nel merito" dell´affare. Nell´uno o nell´altro caso, con nuovi "buchi" nel sistema. Una verifica soltanto "formale" della Corte lascerebbe senza controllo e contrappeso il potere del presidente del Consiglio. Una più efficace iniziativa ne trasformerebbe la natura trasformandola, in una prassi che finora la Consulta ha sempre respinto, in un "giudice di merito" con prerogative che potrebbero essere anche immediatamente "politiche" (la Corte potrebbe smentire il presidente e decretare, come effetto, la fine di un governo).
Tappare un "buco" può anche essere una buona idea, ma le trovate della commissione Affari Costituzionali sembrano aprirne altri e di più larghi. È proprio una buona idea escludere la magistratura? Possono le generiche formule, usate nella legge per attribuire alla Corte Costituzionale un effettivo potere, creare equivoci, timidezze, contraddizioni fino a lasciare senza controllo il capo del governo?



INES TABUSSO