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LA STAMPA
19/1/2007
INTERVISTA A VALERIO MORUCCI
“Scalzone? Scriva un libro
e lasci perdere le battaglie”
Oreste Scalzone è fuggito in Francia nel 1981
GUIDO RUOTOLO


ROMA
Valerio Morucci con Oreste Scalzone ha condiviso la stagione di Potere Operaio, fino allo scioglimento, nel 1973. Poi le loro strade si sono separate. Scalzone nel movimento, in Autonomia operaia, Morucci alle Br, colonna romana. E’ lui il «postino» del sequestro Moro. Lui e Adriana Faranda si batterono perché lo statista Dc non fosse giustiziato. E anni dopo sono stati promotori della dissociazione dalle Brigate rosse.

Scalzone torna in Italia, «per condurre una vecchia battaglia in condizioni nuove». Chi era l’Oreste Scalzone che lei ha frequentato?
«Un perfetto agitatore rivoluzionario. Grande foga e magnetica capacità oratoria. Era capace di prendere la parola in qualsiasi situazione, perfino nel mezzo di un’assemblea alla Statale di Milano, circondato dai katanga di Capanna e Cafiero che molto volentieri gli avrebbero spaccato la testa a colpi di chiave inglese. Dormiva pochissimo, anche se di punto in bianco chiedeva di “schiacciare un pisolino”».

Ricorda un episodio particolare?
«Una volta, a Roma, dovevamo andare in macchina da qualche parte ma non c'era posto per lui. Si sistemò sul portabagagli e quando arrivammo a destinazione lo trovammo che dormiva rannicchiato sulle stecche di ferro. Ma la domanda dovrebbe essere chi è oggi Scalzone».

Lo dica lei.
«Potrebbe dare da pensare l’idea della “vecchia battaglia nelle nuove condizioni”. Forse le nuove condizioni richiederebbero nuove battaglie e, soprattutto, nuovi combattenti. Temo che possa esserci del reducismo in questo afflato. Anche se il nostro è istituzionalmente un Paese di reduci. Guai a parlar male della Resistenza, si può parlare male solo del Fascismo, e da un po’ anche del Comunismo. E naturalmente del ‘68, come prodromo di tutto quello che è venuto dopo».

Scalzone, reduce ed esiliato a Parigi.
«Se le due condizioni si sommano ne può venire fuori l'incapacità di viversi al di fuori del passato. Di trovare un punto di equilibrio altro dal credere che sia stata solo un'interruzione e tutto possa riprendere come una volta. Magari con l'arrivo alla stazione di Finlandia nell'osanna dei compagni. Un buon soggetto cinematografico. Non fosse che Warren Beatty ha già girato “Reds”».

Nella sua autobiografia «La peggio gioventù», non risparmia cannonate a quella stagione e alle stesse Br. Ha ancora senso chiedere oggi l’amnistia?
«Potrei pensare che l'inseguimento dell'amnistia abbia sostituito per molti quello della Rivoluzione. Sempre e ancora la politica, che da tempo non ha più nulla da dire. L'amnistia c'è già stata. La classe politica si è autoassolta da ogni possibile colpa. Prima con la legge sulla dissociazione, in virtù della quale abbiamo ufficialmente riconosciuto di essere stati i soli colpevoli. Poi con l'agiografia neoresistenziale che da lì è partita. Noi eravamo nel Male e la classe politica era nel Bene. Non ci può essere una seconda amnistia perché riaprirebbe pagine che nessuno vuole riaprire. A ingombrare la via ci sono troppi cadaveri di cui in pochi, da una parte e dall'altra, hanno reso ragione ».

A proposito del rogo di Primavalle, Scalzone l'ha accusata di aver mentito dichiarando (falsamente) di aver “processato”, anzi “torturato” Marino Clavo “per estorcergli una confessione simulando un'esecuzione capitale”».
«Non mi interessano le polemiche sul passato. E' un modo per non farlo passare mai. Come darsi del “fascista” o del “comunista” nello stanco vaudeville della politica. Un modo per ripescare dal passato differenze che si sono assai ingarbugliate nel presente. Da destra molti sono contro gli Ogm, come i no global. Mentre a sinistra molti ne sono a favore, come la multinazionale Monsanto. Si sta arrivando a intravedere la radice dei problemi e in questo la politica è solo d'intralcio».

All'ex Oreste Scalzone, quali suggerimenti si sente di dare?
«Sono felice per lui. La condizione dell'espatriato non è felice, anche se, in compenso, si è evitata la galera. Ormai Oreste è prossimo all’età della pensione e da tempo non sta granché in salute. Potrebbe approfittarne per dedicare finalmente un po' di tempo a quell'instancabile donna che per quarant'anni ha coperto tutti i suoi buchi quotidiani. Alla figlia, e ai nipoti, se ne ha. Poi può sempre scrivere. Senza badare ai sepolcri imbiancati che pretendono il silenzio.. Scrivere per tappare i buchi della memoria. In molti, soprattutto i giovani, vogliono sapere. Per non sentirsi in balia di un mondo che gli fa ribrezzo, senza dover commettere i nostri errori».




INES TABUSSO