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CORRIERE DELLA SERA
23 febbraio 2006
INCHIESTA PARMALAT. GLI SVILUPPI
Parmalat e il crac di Tanzi: Geronzi interdetto
L'accusa: concorso in bancarotta. Il presidente di Capitalia è stato sospeso per due mesi
DAI NOSTRI INVIATI Paolo Biondani, Mario Gerevini

PARMA — Era il 30 dicembre 2003 quando Calisto Tanzi, fresco d'arresto, raccontò per la prima volta ai pm dei rapporti anomali, suoi e del gruppo Parmalat, con la Banca di Roma. E già allora, a San Vittore, indicò due operazioni, l'acquisto di Eurolat da Cragnotti e della Ciappazzi (acque minerali) da Ciarrapico, come imposte dai vertici di Capitalia a prezzi fuori mercato. Il sassolino, due anni dopo, è diventato una frana. E ora, dopo decine di interrogatori, perquisizioni, perizie e riscontri sui documenti interni sequestrati alla banca, ecco la svolta: il gip Pietro Rogato, accogliendo quasi totalmente la ricostruzione del pm Vincenzo Picciotti, ha emesso nei confronti del presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, un provvedimento d'interdizione temporanea (2 mesi prorogabili) dagli incarichi direttivi in imprese e società.
ALL'ORA DI CENA — La notifica al banchiere è arrivata martedì sera, poco prima di cena. E ieri mattina si è scatenata la bagarre. Perché non è un atto giudiziario qualsiasi e Geronzi non è un banchiere qualsiasi. Gli scettici ritenevano che la piccola Procura di Parma, decimata negli organici e oppressa dall'enormità del crac Parmalat (15,5 miliardi di euro) non avrebbe avuto la forza di affondare il colpo contro le grandi banche indagate per «concorso in bancarotta». Ora saranno altri giudici, a cominciare dal tribunale del riesame (a cui la difesa già preannuncia ricorso), a stabilire se ha ragione Geronzi nel respingere in toto l'impianto accusatorio o la Procura a ipotizzare «gravi indizi di colpevolezza» uniti al «pericolo di reiterazione dei reati».
Resta il fatto che i pm di Parma, dopo aver chiuso l'inchiesta-base contro Tanzi e altri 70 imputati, ora sembrano accelerare su altri filoni aperti, che riguardano anche altre banche. Di certo il provvedimento contro Geronzi ha alzato il tiro.
Nelle 200 pagine dell'ordinanza, i magistrati di Parma motivano l'interdizione ricostruendo dieci anni di rapporti tra Capitalia e le imprese di Tanzi. L'accusa-base di «concorso in bancarotta» di Parmalat e altre sei società è giustificata dal «fondamentale contributo» che Geronzi, d'accordo con sette dirigenti indagati tra cui l'amministratore delegato Matteo Arpe, avrebbe «assicurato a Tanzi» attraverso «operazioni dolose»: finanziamenti- boomerang decisi «al fine di scongiurare l'immediato fallimento» delle società turistiche, e il conseguente «effetto-domino sulla Parmalat», per consentire alla multinazionale di «continuare a drenare risorse dal mercato» attraverso i famigerati bond e permettere così al gruppo Capitalia «il rientro degli ingenti crediti altrimenti non rimborsabili». Ritardando «l'emersione dell'ormai irreversibile insolvenza», Geronzi avrebbe «aggravato il dissesto di Parmalat per tre miliardi di euro nel solo 2003». Ma «già a partire dal 1994», secondo i magistrati, la Banca di Roma avrebbe «assicurato appoggio finanziario al gruppo turistico in totale assenza dei presupposti». Fallito il tentativo di scaricare quei debiti sulle Ferrovie dello Stato (con l'operazione Cit.-Ecp), nel '97 è sempre l'istituto romano a salvare la famiglia di Collecchio con altri 144 miliardi di lire garantiti solo «dall'impegno sulla parola di Tanzi». Nel 2000 il prestito viene «rimborsato con fondi distratti dalla Parmalat», a cui «Bancaroma già assegnava un rating interno "precario"». E nell'aprile 2001, mentre i funzionari dichiarano «improponibili» altri crediti, «Geronzi favorisce l'ingresso di Tanzi nel cda della banca», secondo l'accusa «per proteggerlo» dal «disastro ormai imminente».
LE «PRESSIONI INDEBITE» — La seconda accusa di bancarotta, aggravata da un'ipotesi di usura, riguarda la vicenda Ciappazzi: un piccolo affare (18 milioni di euro) sezionato dai magistrati per «documentare» le «pressioni indebite» di Geronzi su Tanzi fino alla vigilia del crac. Tra gennaio 2002 e marzo 2003 Capitalia salva il gruppo turistico con un finanziamento-ponte da 50 milioni di euro, «nonostante l'allarme sulla mancanza di liquidità» del sistema Tanzi lanciato da «un'istruttoria interna» della banca. In cambio però Geronzi «impone» a Tanzi di comprare la Ciappazzi da Ciarrapico (già condannato per il crac Ambrosiano) per 35 miliardi di lire e poi di rinunciare a farsi risarcire dopo la scoperta che «la società era di valore nullo». Un «investimento autolesionistico» che ha l'effetto di «indebitare Parmalat per 62 milioni di euro con la banca di Roma».
Per motivare le «esigenze cautelari», i magistrati citano anche altre inchieste in corso contro Geronzi: dal crac Bagaglino (1.550 miliardi di lire) alla bancarotta Cirio.


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IL PERSONAGGIO
In campo Calvi, l'avvocato «rosso» di Panagulis e D'Alema
Giovanni Bianconi

ROMA — Davanti al pubblico ministero di Parma, l'avvocato Guido Calvi ha già difeso le ragioni del suo assistito Cesare Geronzi, e adesso è pronto a farlo davanti al giudice. «Nel merito della causa sono tranquillo», dice. Il reato di concorso in bancarotta, secondo la difesa, si basa essenzialmente sulle dichiarazioni di Tanzi, che sostiene di essere stato costretto ad acquistare la società Ciappazzi, mentre Geronzi nega. «All'udienza preliminare ce la vedremo, abbiamo argomenti solidi per dimostrare l'inconsistenza dell'accusa». Ma allora perché tanto scandalo e anche un po' d'indignazione per il provvedimento d'interdizione? «Perché arriva dopo il deposito degli atti e dopo che c'è stata negata una richiesta di proroga — s'inalbera il legale —. Un diniego del tutto inspiegabile. Legittimo, per carità, ma per esempio a Roma, nel caso Cirio, ci hanno dato tutto il tempo necessario a studiare le carte. Qui ci sono migliaia e migliaia di pagine, non prorogare i venti giorni previsti dal codice significa impedirci perfino di presentare una memoria. Ma va bene, va bene...». Che cos'è allora che non va bene? «L'irragionevolezza del provvedimento. L'inchiesta è finita, questa interdizione durerà giusto il tempo necessario per arrivare davanti al giudice. Che senso ha, per fatti che risalgono al 2002? Questi sono provvedimenti utili nell' immediatezza, non quattro anni dopo». E i diritti dei risparmiatori rimasti intrappolati nel crack Parmalat? «Sono sacrosanti, ci mancherebbe.
Ma con la vicenda dell'acqua Ciappazzi non c'entrano. Basta pensare che il valore di questo affare è di 50 milioni di euro, a fronte di un buco pari a 14 miliardi».
Così parla l'avvocato Calvi. Il professor Calvi.
E il senatore Calvi, parlamentare ds da due legislature e iscritto al partito che prima si chiamava Pci dal 1971. Prima era un seguace di Lelio Basso. «Una storia politica che rivendico totalmente», assicura. E adesso, sol perché viene toccato un suo cliente illustre imita i colleghi del centro- destra nell'attacco ai magistrati? «Ma neanche per sogno!», reagisce il senatore. E l'avvocato: «Io non attacco il magistrato, che ha agito nel pieno rispetto delle regole. Dico che ha preso una decisione irragionevole. Capita. E lo spiegheremo nelle sedi opportune, all'interno del processo». Per un indagato famoso, un avvocato famoso è la norma. Meno normale, forse, è che uno degli uomini simbolo del capitale italiano, sia difeso da un legale che è stato comunista e oggi non si definisce né ex né post; semplicemente «un militante che ha seguito l'evoluzione del suo partito dopo i cambiamenti epocali del 1989. E che difende con forza la battaglia dei comunisti italiani per la democrazia e la Costituzione». Del resto, ai tempi di Mani Pulite, diversi imprenditori si sono rivolti a Calvi. Oltre al tesoriere del Pci-Pds Marcello Stefanini, per conto del quale ebbe dei ruvidi faccia a faccia col pubblico ministero Antonio Di Pietro, oggi suo collega e alleato politico al Senato.
Cesare Geronzi, che Calvi assiste insieme a Francesco Vassalli, è solo uno dei clienti illustri. Un altro, per restare nell'attualità politica, è Massimo D'Alema, che Calvi assisté (come Achille Occhetto) nelle indagini veneziane e romane sulle presunte «tangenti rosse». Ma Calvi preferisce elencare altri processi famosi che l'hanno visto protagonista, anche all'estero: parte civile per il dissidente greco Alekos Panagulis, perseguitato dal regime dei colonnelli; difensore del leader del partito comunista cileno Luis Corvalan dopo il golpe militare del 1973; in Italia, di Pier Paolo Pasolini: «Lo conobbi da studente, nel 1963, quando lo invitai per una conferenza e fu aggredito dai fascisti»; di Pietro Valpreda, l'anarchico accusato e poi scagionato per la strage di Piazza Fontana: «La mia prima difesa, la più bella». E poi parte civile nei dibattimenti per le stragi nere e per gli omicidi delle Brigate rosse, nel maxi- processo alla mafia e in quelli per diffamazione di magistrati come Gian Carlo Caselli.
Nato nel 1940, professore universitario di Teoria del processo, autore di saggi sulla filosofia del diritto, su Kierkegaard e su Condorcet, appassionato di buone letture e cultore di musica sinfonica, Guido Calvi fa l'avvocato da 39 anni e il senatore da dieci. La battaglia parlamentare a cui tiene di più? «Quella per l'introduzione dei principi del giusto processo nella Costituzione, con i quali abbiamo stabilito che la ricerca della verità deve avvenire attraverso il contraddittorio». Un garantista? «Ma certo! La contrapposizione tra garantisti di destra e giustizialisti di sinistra è un'enorme sciocchezza. Anche la difesa dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura è una battaglia che rivendico in pieno, soprattutto in tempi di leggi vergogna e di una riforma della giustizia assurda. Ma ciò non significa assenza di controllo, anzi. In sostanza, io difendo la magistratura, non i singoli magistrati», proclama il senatore Calvi. Che da avvocato è pronto a scontrarsi con i pubblici ministeri di Parma, nell'interesse dell'assistito Geronzi. E spiega che non c'è alcuna contraddizione: «La dialettica processuale, anche aspra, è del tutto fisiologica. Lo sarà pure in questa causa, ma nel pieno rispetto delle funzioni e del ruolo del magistrato. Che pure stavolta, ripeto, ha assunto un provvedimento del tutto legittimo. Irragionevole, però. Lo diremo al giudice d'appello».


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LA REPUBBLICA
23 febbraio 2006

"Azioni delittuose dietro le quinte"
L´ordinanza: così Geronzi occupò Parmalat. Tanzi: decideva lui
Il banchiere è accusato di aver coinvolto l´istituto nelle sue condotte illecite
Il gip: un ricatto all´ex "re del latte" il salvataggio delle Acque di Ciarrapico
DAL NOSTRO INVIATO LUCA FAZZO

PARMA - «La posizione di preminenza dell´indagato Cesare Geronzi all´interno della Banca di Roma e di Capitalia ed i legami dello stesso con Calisto Tanzi costituiscono fatti notori che come tali non abbisognerebbero di prova. Cesare Geronzi è l´unico personaggio apicale dell´istituto di credito romano ad essere presente dall´inizio alla fine nella vicenda. È a lui che fanno riferimento le dichiarazioni accusatorie di Calisto Tanzi e le ulteriori fonti di prova. Era dietro le quinte del palcoscenico che l´indagato risultava svolgere più attivamente le funzioni connesse alla sua carica nell´ambito di incontri o colloqui cui aveva l´accortezza di prendere parte in prima persona solo saltuariamente ovvero quando strettamente necessario. Ovviamente era sempre informato di ciò che accadeva e altrettanto ovviamente era sempre lui a decidere cosa fosse meglio fare».
È questo il passaggio decisivo dell´ordinanza con cui il giudice parmense Pietro Rogato scatena il terremoto sui vertici di Capitalia, privandola del suo presidente: «applica a Geronzi Cesare la misura cautelare interdittiva del divieto temporaneo di esercitare uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese». Sono 195 pagine, firmate martedì mattina da Rogato e consegnate nello stesso pomeriggio nelle mani di Geronzi. Pagine che, riprendendo in larga parte la richiesta del pubblico ministero Vincenzo Picciotti, accusano Geronzi di aver piegato Capitalia ai suoi progetti illeciti: «Le modalità esecutive dei reati per cui si procede, protrattesi per un significativo arco temporale, sono significative della capacità dell´indagato di coinvolgere nelle proprie condotte delittuose l´operato della pur complessa struttura del gruppo bancario di cui risulta Presidente». Per questo, e poiché potrebbe delinquere ancora («appare ravvisabile il concreto pericolo di condotte criminose analoghe») da ieri mattina Geronzi non è più al suo posto.
Tutto nasce da Parmalat, dal crac più micidiale della storia economica italiana. Contro Geronzi, il giudice Rogato ribadisce le accuse già note, quelle che portano la Procura di Parma a chiedere il suo rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta e usura. Si tratta del finanziamento di 50 milioni che nell´ottobre 2002 permise a Tanzi di rinviare il fallimento di Parmatour, il settore turistico del suo gruppo, che avrebbe trascinato con sé tutta Parmalat: un finanziamento senza motivi, visto il disastro dei veri conti di Collecchio, che Geronzi conosceva bene. Ma che venne concesso solo per costringere Tanzi ad una contropartita devastante: l´acquisto delle acque minerali Ciappazzi, l´azienda di Giuseppe Ciarrapico da tempo decotta, e che Geronzi voleva salvare a tutti i costi. In questo modo, scrive il giudice, Parmalat sopravvisse un altro anno, e le conseguenze per i risparmiatori furono pesanti: «L´artificiosa protrazione dello stato di decozione del gruppo Tanzi avrebbe cagionato nel solo periodo dal 31 dicembre 2002 alla data del default un aggravamento dello stato del dissesto che le stime del commissario Bondi hanno quantificato in non meno di 3 miliardi di euro».
Finora Geronzi era stato indicato dalla magistratura come il principale complice di Tanzi all´interno del sistema bancario. Ma ora l´ordinanza si spinge più in là: e accusa Geronzi di avere occupato militarmente Parmalat, riducendo il Tanzi del crepuscolo ad un mero esecutore degli ordini di Capitalia. «L´importanza o la delicatezza delle vicende esaminate che vedono Calisto Tanzi ora protagonista di acquisizioni aziendali senza capo né coda, di investimenti nel settore editoriale, di parcheggi, ora beneficiario di delibere di finanziamento assunte in aperto contrasto con le indicazioni delle strutture operative, rimandano costantemente ad una regia unitaria che è chiaramente quella di Geronzi». E ancora: nella fase finale della crisi di Collecchio si assiste a un «progressivo tendenziale esautoramento dei poteri decisionali di Tanzi a favore degli interlocutori bancari», «Tanzi stava per essere insomma degradato ad una sorta di testa di legno». «Il presidente del gruppo Parmalat siglava contratti, comunicazioni e bonifici il cui contenuto era stato da altri integralmente deciso». «Praticamente l´Area Crediti di Capitalia, su mandato degli ormai noti superiori ed adeguati livelli, si era insediato presso la tesoreria di via Oreste Grassi (gli uffici di Parmalat, ndr)». «L´occupazione di Parmalat da parte di Capitalia fu operazione condotta con una certa brutalità».
Per realizzare il suo piano - tenere in vita artificiosamente Parmalat sulle spalle dei risparmiatori, succhiarne più risorse possibili, utilizzarla per i propri disegni - Geronzi è accusato di avere ignorato e azzittito i segnali d´allarme che venivano dall´interno della Banca di Roma sulle reali condizioni del gruppo di Tanzi. Alla fine è lo stesso Tanzi, complice e vittima al tempo stesso, a indicare l´ex amico Geronzi come il vero regista delle manovre di Capitalia, con un verbale reso nel febbraio 2005 e riportato ampiamente nell´ordinanza: «Geronzi in via generale ha sempre affrontato le questioni facendo leva sul costante e consistente appoggio che ci aveva dato negli anni, mentre le altre figure della banca con cui ho avuto contatti, in particolare il Brambilla e il De Nicolais, erano assai più espliciti e sbrigativi nelle richieste. A prescindere da questa diversità "stilistica" era comunque chiaro che il Geronzi fosse il regista delle operazioni che venivo indotto a compiere. Il dottor Geronzi non ha mai usato termini così perentori, anche se ogni volta che io accennavo al discorso avuto con Brambilla e De Nicolais lui mi diceva che era perfettamente al corrente del colloquio».
L´atto finale, il salvataggio delle acque di Ciarrapico a spese di Parmalat e dello sventurato popolo dei bond, viene etichettato dal giudice come un ricatto. Di cui si fece portatore Alberto Giordano, segretario del consiglio d´amministrazione di Capitalia: ma «che Giordano possa essersi fatto latore motu proprio di una richiesta cosi apertamente ricattatoria nei confronti di un consigliere della banca, per giunta amico del suo presidente, è francamente ipotesi sulla quale ogni discettazione ci permettiamo di ritenere ultronea (superflua, ndr)». Quel ricatto fu per Tanzi il segnale che ormai il suo ruolo era solo quello di obbedire: «Tanzi si era fino all´ultimo cullato nell´idea che le sue controparti dell´ultimo gentlemen´s agreement non sarebbero mai venute meno alla parola data». Invece «i patti tra gentiluomini erano davvero finiti: ma, per la sfortuna di molti, non i bond».
Non è, questa sui bond che Parmalat e il sistema bancario continuarono imperterriti a rifilare al mercato, l´unica battuta polemica che l´ordinanza riserva a Cesare Geronzi. È il passaggio finale della richiesta di interdizione firmata dal pm Picciotti, pagina 193. «La gravità di simili condotte non abbisogna di commenti», scrive il pm. Poi rinfaccia tra virgolette a Geronzi un pezzo dell´intervento che egli stesso tenne in Parlamento all´indomani del crac Parmalat, in cui diceva che in una banca «nessun singolo soggetto, men che mai il Presidente cui non è attribuita alcuna delega operativa, dovrebbe imporre la propria volontà su decisioni di affidamento o sostegno a imprenditori, si collochino essi dentro o fuori del patto di sindacato». «E, ci permettiamo di aggiungere noi – chiosa il pm – si collochino dentro o al di fuori di qualsiasi altro tipo di "patto"».


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L´INTERVISTA
Il legale di Capitalia, Guido Calvi: "Visti i tempi della giustizia sarà difficile ridurre l´interdizione"
"Misura incomprensibile
al rogo solo su sospetti"
"Dubbio garantismo: ogni accusa ne giustifica un´altra. Per l´istituto di credito danni sproporzionati"
LUCA IEZZI

ROMA - «Sono sorpreso per il provvedimento, sconcertato soprattutto per i tempi e i modi in cui è arrivato. Lo trovo semplicemente irragionevole». Dall´avvocato di Cesare Geronzi, Guido Calvi, arriva tutta la sorpresa, ma anche un minimo d´indignazione con cui anche il suo cliente ha accolto un provvedimento considerato sproporzionato rispetto all´entità dei fatti contestati: un finanziamento da 50 milioni di euro concesso a Tanzi per "pilotare" la vendita della Acque Minerali Ciappazzi da Ciarrapico alla Parmalat. La critica alla decisione dei pm di Parma non si ferma al merito, inevitabile nella dialettica tra accusa e difesa, ma piuttosto si concentra sul momento e le conseguenze di un provvedimento che colpisce il presidente di una banca al centro delle voci del risiko: «Siamo pronti a ribattere tutte le attribuzioni dell´accusa naturalmente - incalza Calvi -. E ci aspettiamo di poterlo fare davanti al Gup ad un giudice terzo, ma la scelta di interdire il presidente per sessanta giorni suona un po´ come una "censura postuma". Incomprensibile perché arriva alla fine delle indagini e non all´inizio, perché si riferisce ad eventi molto lontani nel tempo e in un processo, quello sulle acque Ciappazzi che ha un valore economico piccolissimo rispetto al crack Parmalat che ha numerosi indagati con attribuzioni ben più gravi di quelle ascritte a Geronzi».
In realtà nell´ordinanza i giudici oltre al pericolo di reiterazione del reato ricostruiscono i rapporti molto stretti tra Capitalia e Parmalat sin dal 1994 e la conoscenza da parte dei vertici della banca del dissesto imminente dell´azienda di Collecchio a cominciare dalla attività del turismo di Parmatour.
«Mi risulta che il ruolo di alcune banche straniere appaia ben più forte, ma comunque l´elemento allarmante dell´ordinanza e che venga messo insieme un po´ tutto, per giustificare l´intervento su Ciappazzi si fa riferimento anche ad altri processi connessi a Parmalat. Noi siamo pronti a rispondere nel merito nei vari procedimenti. Ma vorrei far notare che in tutti i casi ci troviamo o all´inizio del primo grado o addirittura alle udienze preliminari. Si può parlare quantomeno di dubbio garantismo se ogni accusa da provare finisce per giustificarne un´altra da parte di un´altra procura. Qui, di sospetto in sospetto, si arriva al rogo»
Non era emerso nel corso delle indagini che la posizione di Geronzi era considerata più grave di quella degli altri indagati?
«Proprio no. Era stato richiesto un interrogatorio al quale ci siamo presentati in piena collaborazione. Tra l´altro non portato avanti dal pm che ha richiesto l´interdizione, ma da due sostitute».
Quali sono le prospettive del ricorso che avete annunciato contro l´interdizione?
«Visti i tempi della giustizia italiana, noi impugneremo il provvedimento ma difficilmente riusciremo a ridurre i tempi dell´interdizione, e questo è un altro degli elementi che rende il provvedimento irragionevole, ha effetti molto pesanti visto il particolare momento che sta vivendo il mondo finanziario, rispetto all´entità dei fatti su cui s´indaga».
Pensa che il clima esterno, le voci che agitano il mondo bancario che vedono Capitalia possibile oggetto di acquisizione, abbiano in qualche modo influito?
«Lo voglio escludere, ma il danno oggettivo procurato con l´interdizione è evidente e l´effetto esterno, non connesso alle dinamiche processuali, è sproporzionato».



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IL PERSONAGGIO
Il banchiere bipartisan
ALBERTO STATERA

IMPALLINATO il piccione, adesso tocca al passero. A prevederlo era stato lo stesso presunto uccellino, alias Cesare Geronzi, in una gustosa metafora che risale al 2003, quando Giulio Tremonti già imbracciava la carabina puntando sul volatile più grosso, il piccione Antonio Fazio. Il banchiere che Nino Andreatta chiamava «il ragionier Geronzi» e che scendendo da Marino, paesotto dei Castelli romani, divenne grande elemosiniere della prima e della seconda Repubblica, di Berlusconi, di Fini, come di Botteghe Oscure, l´uomo cui tutti o quasi nel palazzo, a destra e a sinistra, a nord e a sud, devono qualcosa, di naso ne ha da vendere. E quando il piccione, suo sodale da un quarantennio, si infilò mani, piedi e parentado nella filibusta di Gianpiero Fiorani all´assalto di Antonveneta, abbandonò il suo «compagno di pellegrinaggi».


IL PERSONAGGIO
Dall´ingresso in Bankitalia all´ascesa del gruppo romano con aiuti bipartisan a partiti e aziende della prima e seconda Repubblica
Il passo falso del Grande Equilibrista
che voleva diventare il nuovo Cuccia
La lunga scalata al potere del dottor Koch, come lo chiamavano gli amici "furbetti" di Fiorini, quando stava in Via Nazionale
Con le quote strategiche in Mediocanca e Generali, Geronzi ha portato Capitalia al centro del capitalismo italiano
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
alberto statera

A Lourdes e a Santiago de Compostela, come ha raccontato una volta Francesco Cossiga, i due andavano, con le rispettive signore, non a piedi come tutti i pellegrini, ma «con aerei privati noleggiati dalla Banca di Roma: la controllata che paga il biglietto al controllore e signora».
Ma la diaspora dei due pellegrini e delle rispettive consorti non è bastata a blindare gli armadi e il potere dell´uomo che aspira a diventare il Cuccia del nuovo millennio, insidiati da una ventina di magistrati che in varie procure indagano sui crac Cirio e Parmalat e su qualche altra vicenda non proprio commendevole.
Intendiamoci, Cesare Geronzi per noi è innocente finchè non sarà provata la sua colpevolezza. Ma la sua scalata è una di quelle «success story» nutrite di intelligenza e scioltezza, di furbizia e spregiudicatezza, di vivacità e sfacciataggine, che simboleggiano un po´ l´intera parabola di questo paese.
Che effetto le fa - gli chiesero una volta - aver conquistato il Banco di Sicilia? E lui, serio serio:
«Bello, ho fatto il militare a Palermo». Dopo il militare, nei primi anni sessanta, Geronzi entra da impiegato in Banca d´Italia, un anno prima di Fazio. Non molti anni dopo lo ritroviamo capo dell´Ufficio Cambi, uno snodo allora centrale a difesa della liretta. Florio Fiorini, grande esperto all´Eni di speculazioni sui cambi e fondi neri, quel periodo sul finire degli anni Settanta l´ha raccontato così: «C´era una cordata di amici, ci avevano soprannominato la banda dei sette, eravamo il terrore delle banche centrali.
Ogni tanto mi chiamava il dottor Geronzi, responsabile dei cambi di Bankitalia: dottor Fiorini - mi faceva - non le sembra che lei e i sui amici stiate un po´ esagerando? Io chiamavo gli altri: ragazzi, il dottor Koch - così lo chiamavamo in codice - è incazzato, qualche giorno di tregua, please».
Quando Guido Carli si dimise da governatore e il dottor Koch ebbe la definitiva certezza che nel palazzo di cui gli avevano affibbiato il nome il suo amico Antonio Fazio e Lamberto Dini avrebbero fatto più carriera di lui, se ne andò con Rinaldo Ossola al Banco di Napoli, per poi passare a dirigere la Cassa di Risparmio di Roma, vecchio feudo democristiano e papalino. Così comincia la vera scalata al potere. Con il benestare del Vaticano, della Dc e del Psi, Geronzi assorbe il Banco di Santo Spirito e il Banco di Roma. Poi verranno la Banca Nazionale dell´Agricoltura, il Mediocredito Centrale, il Banco di Sicilia, Bipop, Fineco.
Nel 2002 arriva in Borsa la nuova holding Capitalia: 2000 sportelli, 30 mila dipendenti.
Ma per gli sportelli il dottor Geronzi non ha smodata passione. Quel che è in cima ai suoi pensieri, ciò che quasi materializza il sogno di reincarnare Cuccia nel nuovo millennio, è quell´8,4 per cento di Mediobanca e quel 3,19 per cento di Generali nel portafoglio di Capitalia (ergo «Il Corriere della Sera»), che lo mettono al centro degli equilibri del bancocentrico capitalismo italiano, in una fase di grandi cambiamenti. Di equilibrismi il dottor Koch ha vissuto tutta la vita. Nato con la politica da banchiere pubblico, ha prosperato con la politica da banchiere privato. Prima o seconda repubblica per lui «pari son»: da An alla Quercia, dagli amici del Manifesto a Forza Italia.
Forse qualcuno ricorda ancora che quando Berlusconi era sull´orlo del fallimento, con Comit e Credito Italiano che gli chiedevano di rientrare dal mostruoso debito, era stato lui a salvare il Biscione. Ma l´animo bipartisan è grande, contiene tutti: aiuta i diesse esposti per 502 miliardi di lire, «ristruttura» i debiti, pur meno consistenti, del Ppi e del Cdu. Cesarone o Penna Bianca, come lo chiamano gli estimatori, «è un ottimo taxi», sintetizza una volta Paolo Cirino Pomicino, richiamando la celebre frase di Enrico Mattei, capo del primo Eni, che si vantava di usare i partiti, per l´appunto come un taxi.
Immunità diplomatiche a 360 gradi per il destro banchiere di Marino, rafforzate dall´ottima stampa e dal calcio, che pure ora, con il Gaucci furioso, rischia di bruciacchiargli un po´ le mani, già ben a rischio con Cirio e Parmalat. E´ lui tanti anni fa a scoprire le doti di Bruno Vespa e dei suoi congiunti, affidandogli la direzione di «Risparmio Oggi», rivistina aziendale oggi ribattezzata «Capitalia» e tuttora nelle sapienti mani di famiglia. E´ lui a non lesinare con la Mmp, creata insieme a Biagio Agnes, minimi garantiti pubblicitari a tutti, ma proprio a tutti, da «Topolino» al «Secolo d´Italia», dall´»Osservatore Romano» a «Class». Buco finale: 450 miliardi di lire di nove anni fa. Ignota, invece, la perdita nella breve vita de «L´Informazione», fondato con il solito duo Tanzi - Cragnotti.
Pubblicità e calcio, calcio e pubblicità hanno poi contagiato tutta la famiglia. La figlia maggiore Benedetta si occupa di spot pubblicitari con Luigi Carraro, figlio di Franco. La minore, Chiara, ha fondato la più importante agenzia sportiva italiana. Indovinate con chi? Con Andrea Cragnotti, figlio di Sergio, Francesca Tanzi, figlia di Calisto, e Alessandro Moggi, figlio di Luciano. Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco e poi direttore generale della Lazio ne è stato solo un dipendente. Chissà che voleva dire Gaucci quando dalla latitanza ha ambiguamente parlato della famiglia Geronzi e di 85 milioni di euro da lui sborsati.
La Ciappazzi-story, l´azienda di acque minerali rilevata da Tanzi nel 2002 che ha portato ieri all´interdizione di Geronzi, sarà pure microscopica, ma cade nel pieno delle grandi manovre. Non più tardi di giovedì scorso, l´agenzia Radiocor, per dirne una, raccontava del progetto Intesa - Capitalia per la nascita di un vero «campione nazionale» capace di resistere agli appetiti stranieri, favorito «dai rapporti eccellenti» maturati negli ultimi mesi tra Geronzi e Giovanni Bazoli, a dispetto di quelli «gelidi di un tempo».
Ma chissà se un passero, se non impallinato, interdetto potrà volare tanto alto, anche se riuscirà ad evitare l´avverarsi della profezia che lo accomunava a Fazio: «Simul stabant, simul cadent».
INES TABUSSO