00 19/02/2006 19:44
CORRIERE DELLA SERA
18 febbraio 2006
Il personaggio e la vicenda


AVVOCATO
David Mills, avvocato, è sposato con il ministro inglese della Cultura Tessa Jowell hanno due figli

CON BERLUSCONI
Negli anni ’90, Mills idea per la Fininvest due società riservate per «destinare una parte del patrimonio privato di Silvio Berlusconi ai figli del primo matrimonio»: nascono le società offshore Accent e Timor, poi diventate Century One e Universal One, i cui beneficiari economici, dice Mills nel 2004 ai pm, «erano rispettivamente Marina e Pier Silvio Berlusconi». Nel 2001 la posizione ufficiale di Fininvest era che «queste società non hanno mai fatto parte del gruppo»
TESTIMONE
Mills viene sentito come testimone in due processi a Berlusconi: nel 1997 per le tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza e nel 1998 per il processo All Iberian. In entrambi i procedimenti, Mills è ora accusato di aver mentito negando qualsiasi rapporto diretto con Berlusconi. Il premier viene accusato di avergli versato 600 mila dollari perché dichiarasse il falso
IL FAX
Nel 2004 spunta un fax del ’95 mandato da Mills ai soci del suo studio in cui ammette di aver parlato di All Iberian con Berlusconi al telefono nel ’95
LA LETTERA
Nel 2004, il fisco inglese chiede conto dei 600 mila dollari ricevuti e non indicati come parcella da Mills: lui scrive una lettera al suo commercialista in cui dice di averli ricevuti come «gift», regalo, da Mr B.



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prescrizione per il Cavaliere e Mills
L’ex Cirielli ha ridotto il termine di 5 anni. «Tregua elettorale» per l’udienza sui diritti tv

MILANO - «A questo punto la cosa più giusta credo sia spiegare con la massima chiarezza. Del resto, la lettera in sé è estremamente eloquente». In effetti lo è. La mezzanotte tra il 18 e il 19 luglio 2004 è passata da un’ora e 14 minuti (attesta il verbale), e l’avvocato inglese David Mills, sotto interrogatorio dalle 14.45, si vede mostrare dai pm Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo una lettera che non ricordava di aver indirizzato il 2 febbraio 2004 al suo commercialista per un parere sul contenzioso intentatogli dal fisco inglese sull’origine di 1,5 milioni di sterline. Nel testo (qui sotto) l’architetto delle società offshore Fininvest indica almeno una parte dei soldi, 600 mila dollari, come un «regalo» per il modo nel quale aveva testimoniato nei processi a Silvio Berlusconi (nel 1997 per le tangenti Fininvest alla GdF e nel 1998 nel dibattimento All Iberian sui falsi bilanci Fininvest e finanziamenti illeciti a Craxi). «Le persone di B. - scrive Mills - sapevano bene che il modo con cui io avevo reso la mia testimonianza (non ho mai mentito ma ho superato curve pericolose, per dirla in modo delicato) avesse tenuto Mister B. fuori da un mare di guai nei quali l'avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo». Chiaro? Abbastanza. Più ancora nell’interrogatorio notturno: «Pur non avendo mai detto il falso, ho tentato di proteggere Silvio Berlusconi nella massima misura possibile e di mantenere, laddove possibile, una certa riservatezza sulle operazioni che ho compiuto per lui». Qui Mills introduce la figura di Carlo Bernasconi, top manager Fininvest morto nel 2001 (non cugino del premier come erroneamente indicato): «Nell’autunno 1999 mi disse che Silvio Berlusconi, a titolo di riconoscenza per il modo in cui ero riuscito a proteggerlo nel corso delle indagini giudiziarie e dei processi, aveva deciso di destinare a mio favore una somma di denaro», i 600 mila dollari. Da qui i magistrati avviano nel 2004 l’inchiesta sul premier, sfociata l’altro ieri nell’«avviso di conclusione» (possibile preludio alla richiesta di rinvio a giudizio una volta scaduti i 20 giorni per le controdeduzioni degli indagati) per l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari del testimone Mills, essendo ormai già prescritto l’eventuale concorso nelle sue due asserite false testimonianze. Prescrizione che peraltro incombe anche sulla corruzione contestata al premier da quando la sua maggioranza, approvando due mesi fa la legge ex Cirielli, l’ha abbassata da 15 a 10 anni (quindi il procedimento si estinguerà se entro il 2008 non sarà arrivato a una sentenza definitiva). Una prospettiva non dissimile da quella che già si allunga sull’inchiesta-madre per ipotizzati reati societari nei diritti tv Mediaset, di cui l’udienza preliminare in corso a Milano è stata sospesa ieri dal giudice Paparella sino all’11 aprile in nome di una tacita «tregua» elettorale.
Dopo l’interrogatorio notturno di luglio, però, Mills ci ripensa in un memoriale del 7 novembre 2004. I 600 mila dollari diventano una somma custodita per conto di un suo cliente «imprenditore nel campo dello shipping, preoccupato per sue vicende giudiziarie in Italia» (Diego Attanasio, condannato in primo grado a Napoli per corruzione). E la somma si sarebbe poi incrociata, secondo Mills, con una serie di rapporti di dare e avere tra Mills e altri due suoi clienti, il manager della Formula 1 Flavio Briatore e l’imprenditore farmaceutico Paolo Marcucci (fratello di Marialina, l’ex proprietaria di Videomusic e vicepresidente della Toscana che presiede la società editrice dell’ Unità ). Tutti e tre, però, interrogati come testi, carte alla mano contraddicono Mills, ignari delle sue operazioni sui loro conti. E altri documenti evidenziano invece che Mills spese per sé somme a suo dire di Attanasio.
Fatto sta che, per attestarsi sulla nuova versione, Mills deve ritrattare la precedente. E la lettera. Stracciata così: «All’epoca, per una ragione di scrupolo che oggi faccio in parte fatica pure io a comprendere, avevo ritenuto opportuno occultare il nome del soggetto che effettivamente mi aveva corrisposto la regalìa, e al suo posto avevo individuato un altro mio amico, Carlo Bernasconi, che ritenevo altrettanto credibile come fonte del regalo».
lferrarella@corriere.it
Luigi Ferrarella


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«I 600 mila dollari? Mi dissero: ha deciso il Dottore»
Davanti ai pm Mills ha confermato il contenuto della lettera scritta cinque mesi prima
Di fronte alla sua lettera ai commercialisti, mostratagli dai pm, l’avvocato David Mills la notte tra il 18 e 19 luglio 2004 in Procura ne conferma la paternità e ne esplicita ancor più il significato: «Credo a questo punto, per quanto difficile, che la cosa più giusta da fare è spiegare il fatto con la massima chiarezza. Del resto la lettera in sé è estremamente eloquente e quindi ha bisogno di poche spiegazioni.
Ho scritto questa lettera nel quadro di una contestazione di carattere fiscale nel Regno Unito, dovendo in particolare spiegare per quale motivo avevo ricevuto la somma di 600.000 dollari.
Non credo che occorrano molte parole: io sono stato sentito più volte in indagini e processi che riguardavano Silvio Berlusconi e il Gruppo Fininvest e, pur non avendo mai detto il falso, ho tentato di proteggerlo nella massima misura possibile e di mantenere laddove possibile una certa riservatezza sulle operazioni che ho compiuto per lui.
È in questo quadro che nell’autunno del 1999, Carlo Bernasconi (dirigente Fininvest, ndr ), che mi dispiace coinvolgere in questa storia perché era veramente un mio amico (è morto nel 2001, ndr ), mi disse che Silvio Berlusconi, a titolo di riconoscenza per il modo in cui ero riuscito a proteggerlo nel corso delle indagini giudiziarie e dei processi, aveva deciso di destinare a mio favore una somma di denaro. Cerco di ricordare la parole esatte che Carlo usò per indicare che aveva preso questa decisione all’interno della famiglia: ritengo che abbia usato l’espressione "il dottore", che era il modo con cui abitualmente chiamava Silvio Berlusconi.
Quanto al percorso del denaro, esso affluì su Torrey Global (un fondo, ndr ) tramite una società BVI che si chiamava Struie, società gestita per me da fiduciari e sul cui conto erano affluiti denari di alcuni clienti, nel corso del tempo. In effetti una consistente somma di denaro era stata immessa in Struie da Bernasconi già dal 1997 ma fu solo nel 1999 che Bernasconi, con il discorso che ho sopra riferito mi ha autorizzato a disporne nella misura di 600.000 dollari. La cosa più probabile è che il denaro sia affluito sul conto di Struie presso la Banca CIM di Ginevra ma in questo momento a memoria non sono in grado di dare ulteriori precisazioni».


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7 NOVEMBRE 2004
Retromarcia nel memoriale «Ho occultato il vero nome»
Per una ragione, all’epoca, di mio scrupolo che oggi faccio in parte fatica pure io a comprendere, avevo ritenuto opportuno occultare il nome del soggetto che effettivamente mi aveva corrisposto la regalia e al suo posto avevo individuato un altro mio amico, Carlo Bernasconi, che ritenevo altrettanto credibile come fonte del regalo


«Così ho protetto Mister B. E lui ha voluto ripagarmi»

i Documenti
Nel gennaio 2004 il fisco inglese si mette alle calcagna di una ingente somma non dichiarata come parcella professionale dall’avvocato David Mills. Il 2 febbraio 2004 Mills scrive una lettera a un suo commercialista, Bob Drennan. Eccola. Caro Bob, in breve i fatti rilevanti si possono così riassumere: nel 1996 mi sono ritrovato con un dividendo di circa 1,5 milioni di sterline, al netto delle tasse e degli onorari dovuti, proveniente dalle società di Mr. B.
Ogni mia azione è stata condotta a titolo personale: io mi sono accollato tutti i rischi tenendone lontani i miei soci ( dello studio legale, ndr).
Saggiamente o meno, ho informato i miei soci di quello che avevo fatto e, dal momento che per loro si trattava sostanzialmente di un guadagno inaspettato, mi ero offerto di corrispondergli (penso) circa 50.000 o 100.000 sterline a testa, il che mi sembrava un gesto alquanto generoso. Ciò dimostra quanto ci si possa sbagliare, visto che loro insistettero sul fatto che la transazione avrebbe dovuto essere trattata alla stregua di un profitto della società. Per evitare controversie legali (ci eravamo appena fusi con Whiters) acconsentii a depositare la somma nella mia banca fino al momento in cui loro si fossero convinti che non sarebbe più stata reclamata da terzi. Nel 2000 fu chiaro che non ci sarebbe stata nessuna domanda da parte di terzi (io ne ero sempre stato perfettamente consapevole) ed i soldi furono prelevati dalla banca e distribuiti; io mi tenni poco meno di 500.000 sterline su quelli che erano ormai diventati 2 milioni di sterline. Così tutti quei rischi e costi per un magro compenso. Il costo più grosso fu quello di lasciare Withers. Non mi fu chiesto di lasciare ma io mi sentivo decisamente a disagio lì - non da ultimo perché i miei soci di Mackenzie Mills si erano accaparrati la maggior parte dei benefici a rischio zero - tanto che non potevo davvero restare.


«L’HO TENUTO FUORI DA UN MARE DI GUAI»
- Nel 1998-1999 e 2000 lavorai autonomamente ed era evidente che i processi sarebbero proseguiti, ci sarebbero stati avvocati da pagare e ci sarebbe sempre stato il rischio di essere accusato di qualcosa, che è proprio quello che sta per succedere ora, in seguito all’ultima indagine della quale sei al corrente. Io mi sono tenuto in stresso contatto con le persone di B. e loro conoscevano la mia situazione. Erano consapevoli, in particolare, di come i miei soci si fossero intascati la maggior parte del dividendo; sapevano bene che il modo in cui io avevo reso la mia testimonianza (non ho mentito ma ho superato curve pericolose, per dirla in modo delicato) avesse tenuto Mr. B. fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo. All’incirca alla fine del 1999 mi fu detto che avrei ricevuto dei soldi, che avrei dovuto considerare come un prestito a lungo termine od un regalo: 600.000 dollari furono messi in un hedge fund e mi fu detto che sarebbero stati a mia disposizione, se ne avessi avuto bisogno (i soldi furono collocati nel fondo perché la persona collegata all’organizzazione di B. era qualcuno con il quale avevo discusso in molte occasioni di questo fondo, e si trattava di un modo indiretto per rendere disponibile la somma).
Per ovvie ragioni (io in quel momento ero ancora un testimone dell’accusa ma la mia testimonianza era già stata resa) era necessario che tutto fosse fatto con discrezione. E questa era una strada indiretta per raggiungere lo scopo.


IL PAGAMENTO, UN REGALO
- Alla fine del 2000 volevo investire in un altro fondo e la mia banca mi fece un prestito per l’ammontare, garantito dalla mia abitazione etc..., di circa 650.000 euro. Io l’ho ripagato liquidando i 600.000 dollari. Allego una copia del conto in dollari. Consideravo il pagamento come un regalo. Di cos’altro poteva trattarsi? Non ero un loro dipendente, non li rappresentavo, non stavo facendo nulla per loro, avevo già reso la mia testimonianza ma sussisteva ancora il rischio di futuri costi legali (così come ce ne erano già stati) e di una grossa dose di ansia (che certamente c’è stata). La faccenda proseguiva da otto anni. Il mio contatto era consapevole del fatto che la mia capacità di generare reddito era stata danneggiata e nel 1998 e 1999 fu in grado di inviare fatture a certe società, fatture che furono pagate ed aumentarono il mio reddito. Ma questo era diverso.
Dal momento che ero sicuro del fatto che la mia posizione fiscale relativamente al capital gain fosse complessivamente negativa, stupidamente non ho dichiarato nessuna transazione.
Se qualcuna di esse fosse guardata da vicino (ad esempio: da dove arrivarono i soldi per comprare le azioni della Centurion?), sono ovviamente preoccupato di come comportarmi e gestire al meglio questa situazione.
Allego i documenti fondamentali.
Sinceramente
David Mills



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«L’inchiesta di Milano non influenzerà il voto»
Berlusconi attacca Violante: «Ha guidato le truppe rosse dei pm». Poi fa le corna: «Io arrestato? Tiè»
DAL NOSTRO INVIATO
PERUGIA - Come si sente lo dice alla fine di una barzelletta lunghissima, riadattata per l’occasione, che racconta come fosse nel salotto di casa sua e non davanti a 4.000 persone. In sintesi: Violante dà fuoco a Palazzo Grazioli, ma l’inquilino, ovvero il premier, non muore bruciato, e nemmeno cadendo dal tetto, o quando ancora atterra nel cortile dell’ambasciata turca facendo trepidare un immaginario D’Alema: «Che cosa orribile, povero Berlusconi, morto impalato!». Alla fine della storiella, mentre il Cavaliere ride a crepapelle, i due diessini convengono: per ucciderlo «l’abbiamo dovuto abbattere».
L’atmosfera a Perugia è più o meno questa sino alle 9 di sera, quando arrivano le prime notizie da Bengasi e il presidente del Consiglio chiede ufficialmente a Calderoli di dimettersi. Prima di allora nemmeno una parola sull’inchiesta milanese e grande voglia di scherzare. Al Palasport la barzelletta inizia così: «D’Alema incontra Violante, gli dice: Berlusconi è morto». Pausa. Il Cavaliere si rivolge alla platea: «Loro vorrebbero che finisse qui». Subito dopo altre risate: «Mentre venivo qui ho incontrato un infiltrato, mi ha detto: "Ti arresteremo". Gli ho riposto: Tie’...». Mani del premier giù e segno scaramantico inequivocabile: due paia di corna.
Ci mette poco il Cavaliere a toccare l’argomento giustizia. Del resto il Violante della barzelletta è quello che «ha guidato le truppe rosse dei pubblici ministeri e delle procure contro di noi». E la promessa offerta a chi l’ha seguito sin qui è inedita e in apparenza sincera: «Non abbandonerò il mio impegno pubblico sino a quando non avrò contribuito a cambiare radicalmente l’assetto della magistratura. Oggi è quasi impossibile trovare un giudice che smentisce un pm, gli occorre un atto di coraggio anche perché la sua carriera dipende da commissioni in cui stanno i pm».
Mentre lascia il Palasport la battuta sull’inchiesta milanese diventa di colpo esplicita, diretta: «La decisione dei giudici di Milano non avrà influenza sulla campagna elettorale, al massimo ci fanno un piacere». È la punta di un iceberg, che si indaga facilmente ascoltando gli avvocati e l’entourage del premier: per Berlusconi le ultime notizie non sono altro che giustizia ad orologeria, fondate su elementi probatori inesistenti, eterodirette nei tempi e nei contenuti.
Berlusconi come vittima ritorna nelle parole ironiche del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sull’inchiesta: «Una vera e propria novità, chissà perché sotto elezioni arriva questa strana coincidenza». Nessuna ironia invece nell’accusa del presidente dei Ds, Massimo D’Alema: «Ecco chi ci ha processato per Unipol. E non dimentichiamoci che Previti è stato condannato due volte per corruzione di magistrati, evidentemente questo era il sistema usato prima delle leggi ad personam ».



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LA STAMPA
19 febbraio 2006
POLITICA
L’INCHIESTA ALL IBERIAN NELLE CARTE IL PERCORSO DEL DENARO CHE AVREBBE ASSICURATO IL SILENZIO DELL’AVVOCATO
I commercialisti di Mills: «Così ebbe i 600 mila dollari»
Berlusconi: accuse a orologeria nel periodo elettorale
Paolo Colonnello


MILANO L’avvocato inglese David Mills «ha approfittato del mio nome per copririsi dal fisco del suo paese».

Ecco la difesa di Silvio Berlusconi direttamente davanti alla folla dei supporter di Forza Italia riuniti a Verona. E poi, l’affondo: «Si tratta di accuse di una certa magistratura che puntuale, a orologeria, vicino alle elezioni, formula accuse di infondatezza assoluta».
David Mills


Quindi qualche particolare sulla linea di difesa. Senza mai citarlo direttamente, il Premier parla di Mills dicendo che le sue dichiarazioni sono «in sostanza accuse rivoltemi da qualcuno che nemmeno ho mai avuto modo di conoscere e basate su una parte di documenti senza che ci siano prove».

Eppure le carte depositate dai pm al processo per i fondi neri Mediaset, cantano una musica diversa. Da una parte il verbale e la lettera di Mills al suo commercialista, dove lo stesso dichiara di aver ricevuto 600 mila dollari grazie a una persona del gruppo di “Mister B”: il “gift” del “dottore” per non farlo precipitare «in un mare di guai» con la sua testimonianza ai processi milanesi.

Dall’altra, le testimonianze di tutte le persone chiamate in causa dallo stesso avvocato londinese, marito del ministro della Cultura britannica, che smentiscono la sua successiva ritrattazione. E aggiungono particolari sull’origine e la destinazione di quei 600 mila dollari.

Tra questi il commercialista Bob Drenar, destinatario della lettera di Mills, e il fiscalista David Barker, cui il legale inglese si era rivolto preoccupatissimo per il fisco e l’indagine dei pm italiani nel febbraio del 2004. Barker, nel corso di un «meeting» nel febbraio del 2004, prese appunti sulle ansie di Mills, e nel luglio scorso li ha consegnati ai pm. E gli appunti sembrano andare in direzione contraria di quanto affermato ieri dal Premier.

Ad esempio sul fatto che non aveva mai «avuto modo di conoscere» Mills. A un certo punto tra quelle carte su Mills i pm notano infatti un «incontra B.». E ne chiedono ragione a Barker.

Chi è B., Mister Berlusconi? «Si - risponde il fiscalista - penso che Mills abbia detto di aver incontrato Mr B. insieme a sua figlia quella volta ma non potrei dire dove sia stato». «I soldi furono collocati nel fondo perchè la persona collegata all’organizzazione di B. era qualcuno con il quale avevo discusso in molte occasioni di questo fondo e si trattava di un modo indiretto per rendere disponibile la somma...».

Nella parte finale della sua lettera a Robert Drennan, Mills spiega anche in che modo ricevette quel denaro.

Un passaggio fondamentale per l’inchiesta sulla presunta corruzione di Berlusconi. Perchè rivela come il pagamento non avvenne tramite contanti ma attraverso una serie di rimesse bancarie confluite poi nel fondo speculativo Torrey Global Fund, le cui tracce si ritrovano nei paradisi fiscali di Bahamas, Gibilterra, Svizzera, con incroci complicati e coperture di clienti ignari di quanto stava avvenendo. Come il manager di Formula Uno, Flalvio Briatore che si vide utilizzare una sua società delle British Vergin Island, la Struie.

Dice Briatore interrogato sul punto: «Non ero a conoscenza di movimenti sul quel conto nè dei movimenti di Mills. Un giorno una mia assistente mi fece notare questa cosa. Così chiamai Mills e lui mi disse che quei soldi erano suoi. Decisi di separare i nostri conti». Quando successivamente Mills tentò di ritrattare la versione contenuta nella lettera al commercialista attribuendo quel denaro all’imprenditore napoletano Attanasio, («me lo aveva dato in custodia») Attanasio lo smentì, anche lui dicendo di non aver mai saputo nulla di quei soldi e che se li avesse dati in custodia a Mills, questi glieli avrebbe dovuti ormai già restituire.

La verità Mills la raccontò forse solo al suo commercialista e al fiscalista. «La mia iniziale impressione - dice il fiscalista Barker a proposito della lettera di Mills - fu un senso di sorpresa se non di sbigottimento...Mills espresse la sua preoccupazione per il fatto che se i pm italiani fossero venuti a conoscenza del pagamento, avrebbero immediatamente cercato di collegarlo alla testimonianza che aveva reso nei giudizi». E dunque che ne scaturisse, come poi è avvenuto, un’accusa di «subornazione di testimone».

I due spiegano ai pm De Pasquale e Robledo, lo scorso luglio a Londra, che l’avvocato Mills raccontò anche l’orgine di quel denaro. Ovvero che quei soldi gli furono offerti e versati da Carlo Bernasconi (lo scomparso manager Fininvest) «attraverso il Torrey Fund». Dice il commercialista Drennan: «Volevo sapere quale fosse il suo rapporto con Bernasconi. Cioè cosa rappresentavano i 600 mila dollari per Bernasconi?...Ci accordammo (con Mills, ndr) di dover presupporre che i soldi fossero arrivati da qualche parte dalle società o dai fondi di Berlusconi».


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POLITICA
IL LEGALE DEL CAVALIERE: «TURBATI? SI', MA SOLO DA CERTE POSIZIONI GIUSTIZIALISTE»
Ghedini: l’ennesimo processo infondato
Di quei soldi non ne sappiamo niente
«Come è possibile sostenere che un testimone ostile sia stato comprato? Sono arcisicuro: il mio assistito è innocente»
Paolo Colonnello


MILANO. Preoccupato?
«E perchè mai?».

L’avvocato Nicolò Ghedini, deputato azzurro e difensore di Silvio Berlusconi, sospira e sorride.
La lettera e il verbale di Mills, come dice lui stesso, «sono più che eloquenti». Un atto d’accusa notevole per il suo assistito.
«Siamo assolutamente sereni. Piuttosto sono un po’ turbato da posizioni giustizialiste come quelle che ho letto sul vostro giornale».

Quando un testimone come Mills racconta di aver ricevuto 600 mila dollari per «non far finire in un mare di guai Mister B», forse una spiegazione ci vuole. Non trova?
«Ma quale spiegazione?! Qui ci si ostina a voler fare il processo a una persona prima che il processo abbia inizio! Quelle sono le carte dell’accusa. Ac-cu-sa! Chiaro? Prima di trarre delle conclusioni bisogna aspettare magari anche le carte della difesa e poi il processo e infine una sentenza».

Vietato chiedere a Berlusconi e al suo difensore una risposta nel merito?
«Ci mancherebbe. La risposta è che si tratta di un processo infondato come tutti gli altri, a partire dal 1994».

Le rifaccio la domanda: Berlusconi ha pagato 600 mila dollari al testimone Mills per indurlo a mentire come lo stesso ha scritto al suo commercialista e poi ribadito ai pm?
«La risposta è no. Non è possibile sostenere che un teste come Mills, teste ostile ricordiamolo, possa essere stato pagato per quello che ha detto». Perchè no? È quello che sostiene lui. «Per capire bisogna ricominciare da capo. La sentenza All Iberian, quella per cui Berlusconi venne condannato in primo grado per finanziamento illecito a Craxi, si basava esclusivamente sulle dichiarazioni di Mills. Per quale motivo avremmo dovuto pagarlo?» Forse perchè non peggiorasse la situazione... «Ridicolo. Proprio in quel periodo era nato un contenzioso tra Fininvest e Mills sulla proprietà di 10 miliardi di lire, il dividendo di All Iberian. Mills aveva sostenuto che All Iberian fosse sua e ne rivendicava il dividendo. Al processo disse invece che la società apparteneva alla Fininvest. Così il gruppo gli chiese di restituire quei dieci miliardi. Lui rispose che invece se li sarebbe tenuti...Ne nacque un contenzioso».

E come andò a finire?
«Che si tenne tutto lui. Si trattava di circa 3 milioni di sterline che, al netto delle tasse inglesi, faceva la somma di un milione e mezzo di sterline. Quella di cui Mills parla all’inizio della lettera al suo commercialista. E di cui i suoi ex soci volevano appropriarsi (e si appropriarono in seguito) inducendolo perciò a depositarli in banca fino al 2000. Quindi che senso aveva versare 600 mila dollari a Mills se lui si voleva tenere dieci miliardi? Bastava lasciarglieli e chiudere così la faccenda».

Invece Mills dice che, date le difficoltà con gli avidi soci del suo studio, riceve come regalo da Bernasconi, 600 mila dollari. “Gift” «del dottore», cioè Berlusconi.
«Noi di quei 600 mila dollari non ne sappiamo niente, tant’è che non derivano dai conti del gruppo o di società collegate».

Allora come spiega quanto detto a verbale da Mills?
«In quel momento aveva paura del fisco inglese e sapendo che la procura di Milano era in contatto con quella di Londra, raccontò quella storia per evitare guai fiscali. Quando si rese conto che invece stava per mettersi nei guai penali, risolta la sua posizione fiscale a Londra, tirò fuori le carte per dimostrare che quei soldi non arrivavano dal gruppo ma da altri suoi clienti e ritrattò tutto».

Peccato per quel particolare che al processo All Iberian Mills non raccontò tutta la verità...
«Ma lui doveva difendere sè stesso e poi non poteva essere sentito come teste ma come imputato di reato connesso, quindi con un difensore, visto che poi è stato inquisito per riciclaggio. E a proposito di particolari: va ricordato che all’epoca il difensore di Berlusconi, Amodio, si rifiutò d’interrogarlo».

Ottima mossa: un teste così meno lo si fa parlare meglio è. Non trova?
«Beh, se io ti pago 600 mila dollari, potrò pur pretendere che t’impari la lezione a memoria, no?»

Effettivamente...
«Ma Amodio non lo interrogò perchè a suo parere Mills doveva essere indagato per l’appropriazione indebita dei 10 miliardi. E poi, se era un teste comprato, mi spiega perchè non sentirlo? La verità è che Mills non venne affatto comprato e questo processo, sono convinto, non reggerà nemmeno all’udienza preliminare. I pm hanno a loro favore solo le dichiarazioni di Mills e quella lettera. Ma Bernasconi è morto, passaggi di denaro non ce n’è. E poi ne sono sicuro: Berlusconi non lo comprò affatto».



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CORRIERE DELLA SERA
19 febbraio 2006
Il comizio di Verona: accuse infondate, separare giudici e pm
«Mills usò il mio nome per salvarsi dal fisco»
Il premier: giustizia a orologeria. Pisanu: sentenze politiche
L. Fer.


MILANO — «Qualcuno ha approfittato del mio nome per coprirsi dal fisco del suo Paese. Per non dover dire ai soci del suo studio legale quello che aveva incassato, non ha trovato altro modo che dire: "È stato un regalo di Fininvest" ». Dal palco della Fiera di Verona, il premier neppure nomina David Mills, l'avvocato delle società offshore Fininvest. Ma è Mills il «qualcuno» evocato da Berlusconi per «le accuse che mi vengono rivolte in questi giorni, basate su una parte di documenti senza che ci siano prove»: l'accusa di corruzione con 600mila dollari del teste Mills, «ringraziato» per la protezione che Mills, in una lettera del 2004 ai suoi commercialisti, ammetteva di aver dato al Cavaliere con le due sue reticenti deposizioni-slalom in Tribunale a Milano nel 1997 e 1998.
Distratto soltanto da una procace militante (« Cara signora, lei è troppo scoperta... mi fa perdere il filo»), Berlusconi ribadisce di «non saper superare lo sdegno nei confronti dei comportamenti di certa magistratura che puntuale, ad orologeria, vicina alle elezioni formula accuse di una assoluta infondatezza». Accuse mosse «come nel 1994 dalla Procura di Milano, la stessa di quel D'Ambrosio che diventerà parlamentare comunista come titolo di riconoscimento per la sua attività in Procura». Il rimedio? «Introdurre una assoluta e totale separazione tra i giudici e i pm».
"Lanciato" da un inedito comizio del suo avvocato-deputato Niccolò Ghedini («non sono abituato alle folle plaudenti, sono più abituato ad avere a che fare con giudici ringhianti — esordisce il legale —: vorrei occuparmi di più delle prossime elezioni ma mi tocca lavorare, perché la Procura di Milano ha pensato bene di aprire un processo su Berlusconi a ridosso delle elezioni»), il premier rivendica le ultime leggi approvate dalla sua maggioranza in tema di giustizia. Dalla legittima difesa («non è il diritto ad uccidere, ma è il diritto per l'aggredito a non vedersi trasformato in aggressore da certa magistratura») all'inappellabilità delle sentenze di assoluzione: «Se un cittadino è assolto in primo grado — ripete Berlusconi — ha il diritto di non ripiombare nel girone infernale dei processi per il puntiglio di un pm che magari nutre verso di lui una antipatia politica. Non pensate che non possa succedere a ciascuno di voi, può capitare a tutti noi», conclude il premier, al quale la legge ha cancellato l'appello sulla sentenza Sme che in primo grado, per la medesima corruzione del giudice Squillante costata 5 anni al coimputato Previti, lo prosciolse per prescrizione del reato intervenuta grazie alla concessione al solo Berlusconi delle attenuanti generiche.
E mentre da Bologna il ministro dell'Interno Beppe Pisanu dice di «preoccuparsi quando i giudici fanno politica con le sentenze», Berlusconi corre a cena dal conte Giannino Marzotto. Che, per antipasto, gli fa trovare una forma di mortadella circondata da fotografie di Romano Prodi.



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L'INCHIESTA
«Ero in carcere, come potevo dare 600 mila dollari all'avvocato inglese?»
L'armatore Attanasio contraddice la ritrattazione del legale sui soldi da «Mr B.»
Luigi Ferrarella

MILANO — A ben guardare, la tesi di Berlusconi ieri sera a Verona è esattamente l'«alibi» prospettato da Mills nel memoriale con il quale il 7 novembre 2004 ritrattò quanto egli stesso aveva invece scritto ai propri commercialisti il 2 febbraio 2004 e confermato ai pm milanesi il 18 luglio 2004. Un «alibi», però, che dalle carte dell'inchiesta milanese appare già traballare dopo un impatto frontale in archivio: quello con le sbarre di una cella del carcere di Salerno.
LA PRIMA VERSIONE — In un primo tempo Mills, già architetto della tesoreria estera «riservata» Fininvest, aveva giustificato al fisco inglese 600 mila dollari come un «gift», un «regalo» riconosciutogli dal top manager Fininvest Carlo Bernasconi a titolo di «riconoscenza»: un «regalo» deciso direttamente da Silvio Berlusconi per non aver «buttato in un mare di guai Mister B.» e aver taciuto «tutta la verità» nelle sue due testimonianze in Tribunale a Milano nel '97 e '98. Deposizioni rese (rivendica Mills nella lettera ai suoi commercialisti) a forza di «tricky corners», cioè di «curve pericolose» davanti ai giudici; di «passaggi difficili, per dirla in modo delicato»; di «rischi» costatigli «angoscia» (per le possibili conseguenze giudiziarie) e «costi» professionali (anche per la perdita di clienti).
LA RITRATTAZIONE — Ma in un secondo momento Mills ci ripensa: e 4 mesi dopo aver confermato il contenuto della lettera ai pubblici ministeri Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo, torna in Procura per portare un memoriale con il quale ai pm stavolta afferma che nella famosa lettera ai suoi commercialisti aveva soltanto voluto ingannare il fisco inglese, messosi nel gennaio 2004 alle calcagna di 600 mila dollari non indicati da Mills quale parcella professionale.
Ingannare come? Inventando il nome dello scomparso (nel 2001) Bernasconi e la storia del «regalo» da Berlusconi per coprire in realtà chi veramente, a suo dire, gli aveva inviato i soldi: un suo cliente, l'armatore napoletano Diego Attanasio.
L'IMPREVISTO-CARCERE — È dunque sempre Mills che parla. E allora perché mai la Procura di Milano sceglie di non credere a questa ritrattazione? Perché i pm incriminano ugualmente Berlusconi per corruzione in atti giudiziari del testimone Mills, ritenendo invece credibili le precedenti ammissioni dell'avvocato nella lettera ai suoi commercialisti inglesi del 2 febbraio 2004 e nel suo interrogatorio del 18 luglio 2004?
Perché il giorno (23 luglio 1997) in cui Mills dice (nella nuova versione) d'aver ricevuto i 600 mila dollari, a suo dire non più da Bernasconi ma dal cliente Attanasio, costui ben difficilmente avrebbe potuto darglieli: era infatti in carcere, da poco arrestato a Salerno in un'indagine per corruzione.
La ritrattazione di Mills passa dalla sua affermazione secondo la quale i 600 mila dollari in questione, lungi dall'essere denaro procuratogli da Berlusconi o Bernasconi o comunque dall'orbita Fininvest, non sarebbero stati altro che il disinvestimento (da alcune quote del fondo offshore Torrey Global) di parte di una maggiore somma inviatagli da Attanasio nel '97: «L'origine di tali soldi — propone ai pm nel memoriale con cui cambia versione — si può facilmente evincere dall'esame del conto 700807 presso la banca CIM di Ginevra, movimentato sotto la mia firma, allorché arrivarono 2 milioni e 50 mila dollari dalla Banca MeesPierson (Bahamas) il 23 luglio '97. Quella somma mi era stata trasferita da un cliente professionale, e anche amico, Diego Attanasio, imprenditore attivo da anni nello shipping, che all'epoca, preoccupato per alcune sue vicende giudiziarie in Italia, voleva che io la custodissi».
LA SMENTITA — Ma Attanasio, interrogato il 22 dicembre 2005 sui rapporti con Mills che gestiva fiduciariamente alcune sue attività all'estero come l'Hadrian Trust alle Bahamas, smentisce Mills sui soldi del 23 luglio 1997, con un avverbio («francamente») intriso di amara ironia: «Faccio presente che intorno alla metà di luglio del 1997 io sono stato arrestato con un'accusa di corruzione e sono rimasto detenuto per due mesi nel carcere di Salerno. Francamente, pensare di dare istruzioni a Mills dal carcere sarebbe stato, oltre che quasi impossibile, anche rischioso, perché gli inquirenti di Salerno erano particolarmente interessati alle mie relazioni d'affari con Mills. In ogni caso escludo nella maniera più categorica di aver dato ordine anche indirettamente alla banca MeesPierson di travasare 2 milioni di dollari a un conto presso la banca CIM di Ginevra, banca che sento nominare in questo momento per la prima volta».
E allora com'è possibile che, formalmente, i soldi al conto ginevrino di Mills sembrino effettivamente pervenire dall'Hadrian Trust di Attanasio alle Bahamas? «Ricordo — risponde Attanasio — di aver lasciato a Mills una procura e anche dei fogli in bianco (...). Mi rendo conto che questo totale affidamento nell'attività di Mills può apparire sconcertante, però vorrei si prendesse in considerazione lo status sociale di Mills a quei tempi: era un avvocato affermato, con un bellissimo studio al centro di Londra, marito di una importante esponente politica (Tessa Jowel, oggi ministro del governo Blair ndr). Era la persona a cui ci si poteva affidare completamente e senza alcuna riserva».
lferrarella@corriere.it



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LA REPUBBLICA
19 febbraio 2006
Sotto inchiesta per corruzione, il premier parla di "giustizia a orologeria"
Berlusconi contro i "pm rossi"
"Non conoscevo Mills". Ma nuovi verbali lo accusano

VERONA - A Verona per un comizio, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è tornato ad attaccare la magistratura. «Colpisce puntuale, ad orologeria vicino alle elezioni», ha detto il premier parlando dell´inchiesta Mediaset che lo vede sotto inchiesta per corruzione. «Una cosa senza prove, del tutto infondata, che però è un fatto mediatico e politico – ha detto ancora Berlusconi –. Comportandosi così, questi magistrati "rossi" non fanno che aumentare la nostra forza». E ancora: «Non conoscevo Mills». Ma nuovi verbali lo accusano.


Berlusconi e l´inchiesta Mills
"A Milano pm ad orologeria"
E attacca l´ex consulente londinese: ha inventato
Ma un fiscalista ha testimoniato: "Quei 600mila dollari erano un pagamento di mr B"
Il Cavaliere: "Mi ha chiamato in causa per non dover dire la verità ai soci del suo studio"
"Questi magistrati rossi comunque non fanno che aumentare la nostra forza"
Nel comizio di Verona il premier contesta l´accusa di corruzione
MARCO MENSURATI

MILANO - «La Procura di Milano colpisce puntuale, con la sua giustizia a orologeria, vicino alle elezioni. Con una cosa senza prove, del tutto infondata, che però è un fatto mediatico e politico. Comportandosi così questi magistrati rossi non fanno che aumentare la nostra forza». Il déjà vu dello scontro politico-giudiziario si materializza nella tarda serata di ieri, a Verona, quando Silvio Berlusconi decide di rilanciare la polemica con la magistratura dopo la chiusura dell´inchiesta che lo vede imputato, insieme al suo ex consulente David Mills, per corruzione in atti giudiziari. Ma le parole del premier non convincono nemmeno tutti i suoi alleati. «Non credo si possa parlare di giustizia ad orologeria - dice l´onorevole Bruno Tabacci dell´Udc - . Forse nel passato qualche volta le decisioni della magistratura si sono prestate a una lettura politica, ma non mi sembra questo il caso».
Berlusconi prova anche a dare una sua versione dei fatti contestati dalla Procura milanese. Riferendosi proprio a Mills, senza però citarlo direttamente, il premier spiega come il disguido processuale in cui è inciampato sia stato causato da «qualcuno che aveva approfittato del nome di Berlusconi per coprirsi dal fisco del suo Paese, per non dover dire ai soci del suo studio legale quello che aveva incassato e non ha trovato altro modo che dire: "È stato un regalo di Fininvest". Si tratta in sostanza di accuse rivoltemi da qualcuno che nemmeno ho avuto modo di conoscere e basate su una parte di documenti senza che ci siano prove».
L´accusa, sostenuta dai pm Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale, sostiene che Mills sia stato pagato da Berlusconi, attraverso il top manager Fininvest Carlo Bernasconi, per aggiustare alcune testimonianze che il professionista inglese era stato chiamato a rendere nel corso di alcuni processi in Italia, nel 1997. I pm hanno in mano una lettera, datata febbraio 2004, in cui Mills racconta esplicitamente di come avrebbe «messo in un mare di guai Mr B. « se avesse detto tutto quello che sapeva e di come per quel suo barcamenarsi in tribunale era stato ricompensato con 600mila dollari.
Oggi, dalle carte depositate agli avvocati Niccolò Ghedini e Federico Cecconi, emergono ulteriori documenti che non sembrano andare esattamente nella direzione indicata da Berlusconi. Si tratta dei verbali resi da un professionista inglese, il fiscalista David Barker, nonché da Flavio Briatore. Barker ricostruisce un incontro avuto con l´avvocato Mills proprio nel periodo in cui questi scrisse la lettera. Mills doveva spiegare al fisco inglese l´origine di quei 600mila dollari. «La mia iniziale impressione - dice Barker quando i magistrati gli chiedono quale reazione avesse avuto nel leggere la lettera - fu un senso di sorpresa, se non di sbigottimento (...) Mills espresse la sua preoccupazione per il fatto che se i pm italiani fossero venuti a conoscenza del pagamento avrebbero immediatamente cercato di collegarlo alla testimonianza che aveva reso nei giudizi. La sua ovvia preoccupazione era, conseguentemente, che questo fatto potesse comportare un´imputazione di subornazione di testimone».
Ai magistrati Barker consegna un documento importante, che contraddice in almeno due passaggi quanto affermato ieri da Berlusconi. Si tratta degli appunti che prese durante quell´incontro. Su questi appunti è segnato un «incontra B. «: «Potrebbe spiegare - chiede il magistrato - chi è B? É mr Berlusconi?». Risposta: «Sì. Penso che Mills abbia detto di aver incontrato mr B. insieme a sua figlia, quella volta ma non potrei dire dove sia stato». Del resto che Mills e Berlusconi fossero amici era cosa nota: «C´è una prova dell´amicizia con mr Berlusconi, credo», dice Barker riferendosi a una cena tra il premier e il suo avvocato. Sempre percorrendo gli appunti di Barker si arriva a parlare di Carlo Bernasconi, «uomo di fiducia di S B in Svizzera», che sapeva che Mills stava attraversando un periodo non tanto felice sul piano economico.
Alla fine dell´interrogatorio si arriva al dunque: quei soldi erano la ricompensa per le testimonianze addomesticate? «Non pensavo fosse successo niente del genere. Sentivo però che esisteva una implicazione, un senso di gratitudine per il modo nel quale aveva reso la sua testimonianza... ed era un qualcosa che... «. «Un pagamento ex post?». «Sì».
Nel memoriale con cui ha cercato di smentire il contenuto della lettera, Mills ha spiegato che quei 600mila dollari erano in realtà una somma custodita per conto di un altro suo cliente che si sarebbe poi incrociata in una serie di rapporti con altri clienti. Tra questi, Briatore. Che però ha smentito raccontando di non essere stato a conoscenza dei movimenti fatti sul suo conto corrente. Né della gestione che di questo faceva Mills. Un giorno Briatore è stato avvertito dai suoi collaboratori, ha chiamato Mills e lui ha ammesso che quei soldi erano suoi.



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LA RICOSTRUZIONE
Londra, 1982: viene costituita la finanziaria Cmm. È allora che spunta Mills, il custode di molti segreti del Biscione
I misteri dell´off shore Fininvest
Dai diritti tv gonfiati agli affari in Borsa dei soci del Cavaliere
border line Le pratiche "border line" possono aver danneggiato il fisco e permesso di generare fondi neri
884 miliardi In sette anni, prima della quotazione, nel "comparto B" sarebbero stati occultati 884 miliardi di lire
GIOVANNI PONS

MILANO - Silvio Berlusconi, David Mills e la storia dei diritti Tv gonfiati. Non è il titolo di una soap opera hollywoodiana ma di una tecnica sopraffina con cui le telenovelas acquistate in California venivano importate in Italia a un costo tre volte superiore. Oggi Berlusconi è accusato di corruzione per aver regalato all´avvocato Mills 600 mila euro in cambio di una sostanziale "copertura" nelle deposizioni ai giudici. Ma per capire occorre tornare agli anni ´80, agli albori della tv commerciale in Italia. O almeno al 1982 quando viene costituita a Londra dallo studio legale Carnelutti, di cui Mills è il referente, la Cmm, finanziaria destinata a tirare le fila del "comparto riservato" di Fininvest. Un arcipelago di società, almeno 64, ricostruito da una perizia della Kpmg, società di consulenza internazionale, commissionata dalla Procura di Milano nel novembre 1996 e conclusasi due anni e mezzo dopo.
Proprio in quella perizia si ritrovano le parole di Mills che spiegano la "ratio" della rete parallela di società off-shore. «Il Gruppo B è un´espressione utilizzata per differenziare le società ufficiali del Gruppo A da quelle, pur controllate nello stesso modo dalla Fininvest, che non dovevano apparire come società del gruppo per essere tenute fuori del bilancio consolidato. Un promemoria definiva le società del gruppo B "very discreet" (molto riservate) perché il collegamento con il gruppo Fininvest rimanesse segreto».
L´arco temporale scandagliato dalla Kpmg va dal 1989 al 1996, l´anno in cui Fininvest portò Mediaset in Borsa riuscendo ad abbattere un indebitamento di circa 4 mila miliardi di lire su un fatturato di 11.500. Nei sette anni che portano alla quotazione, il denaro che transita attraverso le società del Gruppo B è una montagna: secondo la Kpmg si tratta di almeno 3 mila e 500 miliardi di cui 884 occultati off-shore. Dal 1994 in poi la rete di società viene in parte smantellata o quantomeno trasferita alle Bahamas. È dunque ragionevole pensare che le pratiche adottate dalla Fininvest sui diritti televisivi negli anni ´80 e fino al 1996 siano state poi interrotte o ridotte perché incompatibili con la presenza di azionisti terzi. Però, fino a quel momento, le pratiche border line sui diritti tv possono aver avuto un effetto sul fisco italiano e, se verranno provate, sulla costituzione di fondi neri all´estero. L´inchiesta sui fondi neri del gruppo parte infatti nel 2001 quando dalla Svizzera arriva la risposta a una rogatoria della procura milanese che svela come due società off-shore specializzate in diritti tv, la Universal One e la Century One, farebbero in realtà riferimento a Mediaset.
Un banchiere che negli anni ´80 era creditore del gruppo Fininvest racconta che la pratica in quegli anni era la seguente. Gli emissari di Fininvest e Rai andavano a Hollywood a trattare l´acquisto dei diritti. Fissato il prezzo, non li compravano direttamente ma facevano entrare in gioco le società off-shore, attraverso cui i diritti transitavano e lievitavano di prezzo. Quando arrivavano in Italia sia Rai sia Fininvest acquistavano i diritti a prezzi almeno triplicati. Inoltre, poiché i diritti tv venivano ammortizzati in base ai passaggi televisivi futuri, erano fiscalmente deducibili. La Fininvest, poi, pagava i diritti con un ampio uso dell´indebitamento bancario e, secondo alcuni analisti, il prezzo elevato dei diritti tv unito alla campagna acquisizioni al di fuori del business televisivo (Mondadori, Standa), ha portato la società di Berlusconi nel 1993 a dover subire la richiesta di rientro crediti.
La Fininvest si salva grazie all´intervento di alcuni investitori internazionali, trovati dalla Lehman Brothers e dall´imprenditore tunisino Tarak Ben Ammar: si tratta del sudafricano Johann Rupert a capo della Nethold, del tedesco Leo Kirch e del principe saudita Al Waleed. Sono loro che nel 1995 sottoscrivono un aumento di capitale da 1.247 miliardi di lire nella Mediaset che un anno dopo sbarcherà in Borsa. Il problema della supervalutazione dei diritti, però, emerge già in quella fase. Il perito del Tribunale di Bergamo riscontra una differenza in negativo di 103 miliardi di lire rispetto ai valori di conferimento in Mediaset del 1993. E la ricognizione sui conti effettuata dai tre nuovi investitori porta a valori della library assai inferiori di quelli scritti nei bilanci Fininvest. Rupert, Kirch e Al Waleed trattano e alla fine pagano le azioni Mediaset 6.200 lire l´una, quando poi nel giugno 1996, in seguito a una nuova iniezione di diritti nella società per oltre mille miliardi di lire, il valore di sottoscrizione dei titoli lievita a 7 mila lire.
I tre danno una mano a Berlusconi e nel contempo fanno un affare. Ma un timore c´è: se la pratica della supervalutazione dei diritti, effettuata negli anni precedenti attraverso le società di Mills, dovesse troncarsi di colpo, il prezzo di Borsa crollerebbe. Ciò non è avvenuto e in molti pensano che l´adeguamento del valore dei diritti sia stato graduale interessando anche la fase in cui la società era già quotata. Ora il titolo Mediaset veleggia intorno ai 10 euro e tutti hanno guadagnato. Rupert, addirittura, ha incassato un altro miliardo di dollari vendendo a Canal Plus le azioni Telepiù che aveva acquistato dalla Bil (Banque Internationale à Luxembourg). La Fininvest per legge poteva avere solo il 10% della tv a pagamento e molti ritengono che dietro la Bil ci fosse lo stesso Berlusconi. Non a caso a trattare la vendita delle azioni a Rupert ci pensò proprio Mills, ma il magnate sudafricano non avrebbe mai concluso l´affare se quelle azioni Telepiù non fossero state iscritte nell´attivo della banca. Così era ma nulla esclude che la Bil fosse stata finanziata dalla Fininvest con un accordo tacito secondo il quale, se le azioni avessero perso di valore, il prestito sarebbe stato decurtato di un egual valore. La verità la sa solo Mills, il quale ha ammesso di aver «tenuto Mr B fuori da un mare di guai nei quali l´avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo».
INES TABUSSO