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LA REPUBBLICA
6 febbraio 2006
"NESSUN GIUDICE IN LISTA SENZA SE E SENZA MA"
MILELLA LIANA intervista NORDIO CARLO
www.senato.it/notizie/RassUffStampa/060206/9uvku.tif





CORRIERE DELLA SERA
1 aprile 2003
Il magistrato che si occupa della riforma del codice fotografato in un ristorante romano: all’incontro anche il senatore di Forza Italia Lino Jannuzzi
Il pm Nordio a cena con l’ex ministro: nessun imbarazzo
«Non frequento i miei inquisiti, ma vige il principio d’innocenza»
Gian Antonio Stella

«C’è un limite che rispetto: non frequentare i propri inquisiti. Per il resto, nelle relazioni personali vige il giudizio morale e qui mi attengo al principio cristiano del " nolite iudicare". D’altra parte, come diceva Victor Hugo, il ladro può essere meglio del giudice». Così, coerentemente con quanto aveva detto sui rapporti con Marcello Dell’Utri, che accompagna nelle tournée teatrali parlando di Socrate, il pm Carlo Nordio, presidente della Commissione per la riforma del codice penale, si è fatto beccare l’altra sera in un celebre ristorante romano con Cesare Previti, sotto processo con l’accusa di avere corrotto dei magistrati. Una foto clamorosa. A scattarla, dopo ore di appostamento, è stato uno dei più micidiali fotografi romani, Umberto Pizzi. A metterla on line Roberto D’Agostino, che sul suo sito dagospia.com ha corredato il servizio con un titolo di soave perfidia: «Il pm Carlo Nordio riforma il codice penale con Previti e Jannuzzi». In primo piano, il senatore di Forza Italia Lino Jannuzzi, che pochi mesi fa fu costretto a cercare rifugio a Parigi per sfuggire al carcere dopo la «conta» di una serie di condanne accumulate per reati a mezzo stampa, tra cui durissimi attacchi ai giudici. Dietro, il magistrato veneziano e l’ex ministro della Difesa, imputato di spicco sia nel processo Imi-Sir sia in quello per il Lodo Mondadori.
Sorridenti. Allegri. Per niente imbarazzati dal flash.
«E perché mai dovrei essere imbarazzato?», ride il giudice, «In questo paese vige la presunzione di innocenza. Anche il presidente del consiglio è sotto processo ma nessuno si rifiuta di andarci a cena. Al tavolo vicino al nostro, del resto, c’era Giulio Andreotti che mi risulta essere stato già condannato a 24 anni di carcere per un reato gravissimo, eppure è osannato dalle più alte cariche dello Stato». Ma dopo tante polemiche da destra sulle frequentazioni ambigue di certi magistrati additati come «toghe rosse» non sarebbe stato meglio evitare? «No, no: non sono mai stato io a bacchettare i colleghi sulle loro frequentazioni. Io ho frequentato sempre tutti. E, tolti gli imputati inquisiti da me, non mi sono mai posto, da garantista, il problema di andare a cena con persone sotto processo». Non dirà che a una cena così non sia mai stato sfiorato l’argomento del processo Imi-Sir che dovrebbe presto arrivare al verdetto? «Bisogna vedere in che termini se ne parla».
Sicuro. Tranquillo. Sereno. Più trevisano del radicchio trevisano, appassionato di letteratura, amante dei cavalli, ghiotto di «sopa coada» (il brodo col piccione) e frequentatore impenitente di feste, cene, gala, picnic, rinfreschi e ricevimenti, Carlo Nordio ha modi affabili e rotonde sonorità venete ma non si è mai sottratto alle polemiche. Prima schierandosi al fianco di Antonio Di Pietro fino al giorno delle dimissioni dalla magistratura («In suo onore noi continueremo come prima e fino in fondo») , poi confermandogli stima eterna nonostante la richiesta di rinvio a giudizio a Brescia («Sono solidale con il collega che per tre anni ha lavorato giorno e notte e ora si ritrova con sette capi di imputazione con pene che potrebbero superare quelle inflitte ai maggiori personaggi coinvolti in Tangentopoli»), quindi sparando a zero su di lui con una battutaccia non proprio garantista alla Versiliana a proposito della famosa Mercedes al centro delle indagini sull’ormai ex «mitico Tonino»: «Quello che posso dire è che io non ho auto. Sono arrivato qui con la macchina di mia moglie».
Pubblico ministero (sia pure quale erede dell’inchiesta condotta da Nelson Salvarani) nel processo contro Carlo Bernini e Gianni De Michelis, accolse la loro condanna con parole solenni: «Questo processo segna una tappa storica, non tanto perché accoglie il principio dell’accordo spartitorio, fonte di tanti illeciti e dissipazioni di risorse pubbliche, bensì anche perché accoglie il principio che il malgoverno non è stato un episodio isolato, ma che faceva parte di un programma». Diventato famoso con l’inchiesta sulle coop rosse e l’interrogatorio di D’Alema (che sprezzantemente definì l’incontro «un importante dibattito sul surrealismo»), Nordio ha poi radicalmente cambiato idea: «Su Tangentopoli il fallimento è stato totale: a fronte della scoperta di una minima parte della corruzione si è verificata la paralisi dell’economia e l’intimidazione della politica. Per di più il prezzo pagato in termini di diritti civili è stato altissimo. Possiamo dire di aver toccato il fondo dell’inciviltà giuridica».
Autore di una rara autocritica («Noi magistrati tra il ’92 e il ’93 siamo intervenuti in modo molto violento come forse era necessario in quel momento storico. Io stesso ho usato l’arma della custodia cautelare in modo assai severo»), promotore tra i primi di un progetto di «amnistia a pagamento» per arrivare a una soluzione politica, autore di una traduzione di Anatole France dedicata a Calogero Mannino e a «quanti come lui hanno perduto l’onore che lo Stato gli deve restituire», è via via diventato il giudice forse più amato dalla destra. Fino ad essere nominato da Castelli presidente della commissione per la riforma del codice penale.
E qui torniamo al punto: dopo le risse di questi anni e le reciproche accuse da destra e da sinistra sull’uso politico della giustizia, non sarebbe opportuno che l’uomo incaricato di avviare quella che Berlusconi promise come la grande riforma nella scia di Giustiniano si astenesse dalle cene con chi attende di lì a pochi giorni la sentenza in un processo per corruzione di giudici? Certo, almeno fino alla sentenza Previti è innocente e ogni garantista deve augurarsi che, se lo è davvero come lui giura, venga assolto. Certo, dopo dieci anni di indagini spesso controverse forse è troppo chieder che la moglie di Cesare (o perfino Cesarone) sia esente anche dai sospetti. Ma è questo il modo per rasserenare il clima?



INES TABUSSO