00 29/12/2005 16:27
IL SOLE 24 ORE
29 dicembre 2005
La malafinanza non può essere fisiologica
Intervento di Franco Morganti

Il Sole 24 Ore quotidiano ci ha descritto il 28 dicembre 50 anni di malafinanza italiana.

L’attenzione del pubblico è attirata dai vari personaggi che, da Giuffrè a Sindona, da Calvi a Fiorani, sono stati al centro di grandi scandali finanziari. Fatalmente viene da pensare che si tratti di mele marce, in un frutteto di mele buone. Ma è entrando nel vero meccanismo dell’economia reale e del suo finanziamento che si capisce come stanno le cose. Ci aiuta molto a questo un’intervista che lo stesso 28 dicembre ha rilasciato Giovanni Donigaglia, ex-leader della Coop Costruttori, a Milena Gabanelli per il Corriere della Sera [1]. Dal racconto di Donigaglia, e direi quasi indipendentemente dalla sua figura, emerge un panorama degli appalti pubblici nelle costruzioni civili che impensierisce ben più delle mele marce. In fondo nel meccanismo della grande malafinanza c’è sempre una figura preminente, consapevole del dolo e un sistema di controlli che, per una ragione o per l’altra, non funziona a dovere. Quando però il sistema dei controlli, almeno in alcune sue parti, si mette a funzionare (Baffi e Sarcinelli, Ugo La Malfa, Giorgio Ambrosoli, ecc.), la mela marcia mostra il suo lato bacato e va sotto gli occhi di tutti.
Nel sistema degli appalti pubblici che esce dall’intervista, invece, siamo ben dopo Tangentopoli, quando l’accordo con le società Iri consentiva la spartizione delle opere pubbliche del Paese e alle cooperative veniva garantita una quota diversa da zona a zona secondo le amicizie politiche. Mi raccontava allora un amico medico che una decisione di investimento veniva presa, in ospedale, con una semplice divisione: l’importo necessario al partito locale dominante, diviso per il tasso di “tangenza”. Ti serve un miliardo (di vecchie lire) per il partito? Poiché il tasso di tangenza è del 10%, l’opera deve costare almeno 10 miliardi. Quindi si allarga il reparto puericultura, anche se non nascono abbastanza bambini, anziché geriatria, di cui ci sarebbe tanto bisogno, ma ha il difetto di costar meno. Quello, si dirà, era il sistema di allora, dal quale siamo usciti grazie a Mani Pulite. Ma adesso, negli anni a partire dal ’97, dove siamo?
Gli appalti pubblici sono indetti da enti pubblici, che sono amministrati da politici. I politici si esprimono in modo clientelare, che è fortemente connaturato alla loro figura. Per vincere l’appalto bisogna andare incontro ai loro desideri, che il più delle volte non hanno nulla a che vedere con una sana gestione aziendale. Il vincolo, ad esempio, è quello di mantenere tutta la forza-lavoro e possibilmente accrescerla, magari con l’acquisizione di aziende decotte. Oppure, come in questi giorni a Trento. si assiste al licenziamento di 25 lavoratori dell’Azienda di raccolta dei rifiuti, perché all’azienda non è stato consentito di aumentare le tariffe. Nel settore privato un’infinità di aziende, in questi anni, non hanno potuto aumentare i prezzi a causa della concorrenza internazionale: ma hanno cercato di ridurre i costi, magari con procedure di “zero base budgeting” che aiutano a mettere in discussione tutti i costi aziendali. Poi c’è l’aspetto finanziario: molte cooperative sono ben lungi dall’autonomia finanziaria (e fin qui non ci sarebbe niente di male), ma manca anche il profilo di solidità necessario a tranquillizzare i finanziatori. E allora si ricorre necessariamente al finanziatore “captive” che è Unipol.
Di nuovo giochi di potere nell’ambito della politica: giochi in cui serve la telefonata giusta, piuttosto che un buon prospetto informativo. Tutto questo però non scandalizza nessuno: è fisiologia, non patologia, non si tratta di mele marce.
Di nuovo, in questi giorni di campagna elettorale, torna alla ribalta il busillis sulla privatizzazione delle aziende pubbliche, in particolare di quelle municipali che si stanno gonfiando a dismisura. E l’argomento principe dei detrattori delle privatizzazioni è: sono aziende attive, perché privare i Comuni di questi introiti? Al di là di tutti i ragionamenti che si possono fare, valgono le considerazioni fatte sopra: se vogliamo che le risorse siano allocate con criteri diversi da quelli economici, non abbiamo che continuare per questa strada.



[1]
Corriere della Sera
28 dicembre, 2005
Parla Donigaglia
di Milena Gabanelli
Le coop e le inchieste degli anni Novanta «Ma io non ho mai cercato soldi per me»

LA SCHEDA

LA CARRIERA
Giovanni Donigaglia è nato ad Argenta (Ferrara) il 9 maggio 1940. Entra nella coop Costruttori nel ' 59, nel ' 71 diventa direttore, nel ' 79 presidente e lo rimane fino all' aprile del 2003, quando si dimette

LE INCHIESTE
Nel 1993 è finito a San Vittore nell' ambito dell' inchiesta di Mani pulite. Resta in carcere 87 giorni. Fu bersagliato da un' onda di avvisi di garanzia, una trentina in tutto. E' sempre stato assolto


ARGENTA (Ferrara) - Giovanni Donigaglia oggi ha 65 anni, e di persone come lui non ce ne sono più. Lo incontro una domenica, a casa sua, una piccola villetta di periferia con qualche abete in giardino. Dentro il calore di una moglie che tiene dietro alla casa, dignitosa e modesta. Non hanno mai avuto una colf. Da un anno sbarca il lunario facendo l' amministratore per una ditta di ascensori a 1200 euro al mese: Argenta Ragusa il lunedì, ritorno il venerdì. È stato per quasi 40 anni il padre padrone della Coop Costruttori di Argenta, e secondo lo schema in uso nel paese, ha partecipato alla spartizione dei lavori pubblici con il sostegno prima del Pci e poi dei DS. Ma lui è un imprenditore anomalo e sui conti ha sempre lasciato prevalere gli ideali. Alla fine, quei lavoratori per i quali ha fatto carte false, sono finiti tutti a spasso. È successo il giorno in cui i suoi affari si incontrano con quelli del presidente di Unipol, Giovanni Consorte. «Invece di salvare posti di lavoro ha preparato un piano che doveva far sparire la Coop Costruttori. È un traditore». I suoi guai sono cominciati un po' di anni prima, con Tangentopoli... «Guardi che io sono incensurato, ho fatto un anno di carcere, 30 processi, nessuna condanna e oggi sono incensurato». Perché era stato coinvolto? «Perché eravamo un cooperativa rossa! La storia comincia con la magistratura veneta, con Papalia che dice "Mettiamo sotto torchio Donigaglia e lasciamolo lì!". Siccome tutti i partiti avevano incassato dai lavori sulle autostrade , e io ho rifatto tutti i caselli da Verona fino a Venezia, era convinto che anche i comunisti avessero preso i soldi... 87 giorni in carcere una vicenda pesantissima, ma alla fine ho vinto. Poi è arrivato il turno di Di Pietro, Davigo, Colombo. A Milano la procura indagava su Stefanini (il tesoriere del Pci) e i suoi rapporti con la Lega delle cooperative. C' era un accordo con le grandi società legate all' Iri per la spartizione delle opere pubbliche del Paese, alle cooperative veniva garantita una quota diversa da zona a zona. Ognuno secondo le proprie amicizie politiche... e io avevo le mie». Lei al partito cosa dava in cambio? «Garantivo il sostegno elettorale con i miei 3000 soci... e poi pagavo la pubblicità, le inserzioni, finanziavo interventi nei modi più diversi. Nei processi di Milano e Verona ho documentato di aver dato 1 miliardo in sponsorizzazioni per manifestazioni, ma non erano tangenti, era tutto legale, spese fatturate e messe a bilancio. Il mio obiettivo non era di arricchire qualche politico, ma di far lavorare l' azienda». Entra nella coop Costruttori nel ' 59, nel ' 71 diventa direttore, nel ' 79 presidente, e lo rimane fino all' aprile del 2003, quando si dimette. Qual era il suo stipendio? «È sempre stato come quello di un muratore, l' ultimo non superava 1500 euro. Io sono uno che non ama i soldi, non ho risparmi, non ho ricchezze, e non le ho neanche mai cercate. Questa casa l' ho fatta con i soldi che ho preso quando mi hanno risarcito l' incidente che ho avuto nel ' 68: meno di 45 milioni, e l' ho anche documentato». Come ha fatto la Coop Costruttori a diventare così grande? «Perché abbiamo investito tutti gli utili in posti di lavoro; il nostro obbiettivo era quello di dimostrare che una cooperativa poteva produrre più ricchezze, più reddito e più lavoro rispetto ad un' azienda privata. Per questo abbiamo salvato tante aziende che andavano male, qui da noi e anche al sud...» Salvataggi volontari o imposti dal partito? «C' era l' intervento del Partito e della Lega. Molto spesso interveniva anche il sindaco. È andata così in moltissimi casi, abbiamo evitato il fallimento di molte cooperative perché noi avevamo più risorse e più mezzi». Quando le cose hanno cominciato ad andare male? «È Tangentopoli ad averci messo in crisi, perché quando c' è un' indagine giudiziaria, si interrompono i flussi di pagamento, si lavora e non si incassa lei si immagini. Tante aziende hanno dovuto chiudere, tutte le cooperative hanno abbandonato il sud, e io sono rimasto l' unico a continuare a lavorarci, ma ho dovuto combattere, sa? Ho fatto arrestare amministratori e sindaci, ho girato con le cimici addosso incontrando mafiosi, camorristi e gente della ' ndrangheta... ho fatto cadere delle giunte...». L' accusano di non aver capito che i tempi erano cambiati, di non essere stato capace di liberarsi di quei settori in perdita e di non essersi saputo staccare dalla politica, quindi il fallimento è tutta opera sua. «È vero, ma solo in parte. Nel ' 97 la Lega delle cooperative inizia un' opera di ricostruzione e riorganizzazione delle cooperative che avevano avuto dei danni da tangentopoli e tra queste c' è anche la mia. Andiamo da Consorte a Bologna per studiare un piano di ristrutturazione finanziaria e organizzativa. Parte la verifica dell' Unipol sulla Costruttori, ma dopo qualche mese abbandona la partita, aprendoci di fatto un conflitto all' interno della Lega». Però lei ha fatto tanti errori. «Sì, tanti. Ho sbagliato a non dare all' azienda una struttura finanziaria autonoma. Ho sbagliato a non licenziare mai nessuno, anche quando era necessario... perché sono stato educato così, con l' idea che la gente avesse diritto a un lavoro. Io ho rilevato tante aziende lasciando lo stesso numero di dipendenti, anche quando erano in esubero. Poi non ho saputo diversificare... perché non volevo entrare in conflitto con altre cooperative. Sempre agli ordini del Partito... «Guardi, per 43 anni, quando il Partito chiedeva, io eseguivo, perché pensavo avesse degli interessi superiori. E poi c' era il fatto che lavoravo solo per l' ente pubblico, e gli enti pubblici sono amministrati da politici; se andavo in contrasto con la politica, come facevo ad avere lavori per i soci e i miei lavoratori?». Alla fine però è andata male. «Perché Consorte non ha più voluto dare le fideiussioni per le gare d' appalto! Se mi chiede il motivo, le rispondo che non lo so!». Non ci credo. «Dicono che io ho falsificato i bilanci, che ho dato notizie false, che ho tenuto nascosta la verità sull' azienda, ma non è vero... è una balla!». Però lei aveva promesso di vendere e poi non lo ha fatto, diceva che i conti erano in ordine e non era vero; come facevano a fidarsi di lei? «Fin dal ' 97, in più occasioni, ho dichiarato che per salvare l' azienda ero disponibile ad andarmene, ma ogni volta il presidente della Lega (Checcoli) mi pregava di restare perché io trovavo i lavori». Al massimo ribasso. Poi è arrivata la gara per l' aeroporto di Bologna ed è stata la sua tomba. «Ci eravamo anche impegnati a consegnare in tempi stretti e Cofiri ci anticipava lo stato di avanzamento dei lavori. Ma poi ci sono stati dei problemi di ritrovamento archeologico, i cantieri erano fermi e io dovevo pagare gli stipendi. Alla fine abbiamo dovuto cedere il contratto al consorzio (Ati) per ultimare i lavori, perché noi non eravamo più in grado di continuare. Abbiamo transato le riserve e gli anticipi avuti e subito dopo io ho cessato la mia attività in azienda». Però lei ha lavorato in modo illecito, non si può considerare il credito in contenzioso come se fosse denaro in cassa. «Ma io avevo avuto dei costi che nessuno voleva riconoscere e se volevo andare avanti a pagare gli stipendi dovevo fare così! Avrei poi rimborsato i soldi quando arrivavano quelli dell' amministrazione! Non erano fatture false, erano solo fatture anticipate! Negli ultimi 10 anni, dagli atti, la media del contenzioso era del 40%, questo vuol dire che con un po' d' aiuto l' azienda si sarebbe ripresa». Chi avrebbe messo l' aiuto? «Cofiri, Antonveneta, la Cassa di Risparmio di Ferrara; loro erano pronti a finanziare il progetto industriale, ma la Lega dice che quei soldi sarebbero arrivati a condizione che io lasciassi, e io mi sono dimesso. Alla fine della fiera l' Unipol ha negato l' appoggio al piano di salvataggio... è stata una catastrofe: quasi 2500 persone a casa!». Forse il ragionamento di Consorte e della Lega è che quando un' azienda non funziona va chiusa. «Lui ne ha salvato altri, c' erano soldi per tutti, ma non per la Coopcostruttori! Lei ha tre figli, due li fa star bene e uno lo fa morir di fame, perché? Non ha voluto aiutarci, e poi abbiamo visto che tipo di fideiussioni si scambiava con Fiorani!... C' è da farsi venire il voltastomaco! Io ho fatto tanti errori e li ammetto tutti, ma non ho mai rubato; mi sono sacrificato per mantenere dei posti di lavoro, perché questo è il mio impegno morale, lui invece dove li ha presi i soldi che sono sui suoi conti? Mentre mandava a casa 2500 persone, il capo dell' Unipol trafficava in proprio... Ma dove sta la sua coscienza?» Lei ha servito la Lega per 40 anni e poi è stato abbandonato, i tempi cambiano... «Non mi interessa quello che hanno fatto a me, ma non dovevano abbandonare la Cooperativa, perché poteva essere rimessa in carreggiata». Quindi lei pensa che, alla fine, si sia trattato di un regolamento di conti? «Io guardo ai fatti: io me n' ero andato, Cofiri e lo studio Gismondi avevano dato l' okay al piano di ristrutturazione, i soldi c' erano.. perché Consorte si è tirato indietro? È gente che io ho comperato? È gente che ha raccontato delle bugie? È gente che ha fatto documenti falsi? Sono professori universitari, gente preparata stimata e per bene, ma li ha mandati via! Per sostituirli con i suoi uomini, che avevano un' unica consegna: farci sparire!». In fondo alla vicenda ci sono 3000 soci che hanno chiesto il rimborso del loro prestito sociale: 90 milioni di euro. Ad oggi la Lega delle Cooperative ha restituito il 20%, il resto è probabile che vada in cavalleria, con buona pace dei nobili principi.


INES TABUSSO