00 13/12/2005 23:44
LA REPUBBLICA
13 dicembre 2005

Sarebbe stato riconosciuto "il legittimo impedimento"
del deputato di Forza Italia a partecipare alle udienze
Consulta, verso un sì parziale ai ricorsi di Previti
Ma la Corte non entra nel merito delle sentenze

ROMA - Dalla Consulta è in arrivo un parziale disco verde ai conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sollevati dalla Camera nei confronti del Tribunale di Milano. La magistratura non avrebbe riconosciuto il "legittimo impedimento" di Cesare Previti a partecipare alle udienze dei processi Imi/Sir e Sme per "concomitanti impegni parlamentari". Secondo indiscrezioni, i giudici della Consulta riterrebbero fondati i ricorsi: contestano alle ordinanze milanesi del giugno 2000 e dell'ottobre 2001 di aver leso l'autonomia del Parlamento; in altre parole di aver compromesso la posizione autonoma della Camera, in violazione degli articoli 64, 68 e 72 della Costituzione.

I giudici citano la sentenza della stessa Corte n. 225 del 2001: stabilì che la magistratura milanese non aveva il potere di sacrificare l'interesse della Camera allo svolgimento delle attività parlamentari all'interesse alla speditezza del procedimento giudiziario. Ribadiscono che occorre rispettare il principio, imposto dal sistema costituzionale delle attribuzioni, del giusto bilanciamento tra esigenze processuali ed esigenze della funzione parlamentare. Pronto, invece, sempre secondo le indiscrezioni, un disco rosso alla richiesta di annullamento delle sentenze di condanna inflitte a Previti. La Consulta infatti non può entrare nel merito dei verdetti emessi dal Tribunale.

Nella sostanza l'ultima parola verrebbe lasciata alla Cassazione. Il deposito in Cancelleria della pronuncia della Consulta nella sua interezza è atteso prima di Natale.


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SULL'ARGOMENTO UN PO' DI DATI RISALENTI A QUALCHE ANNO FA:

LA REPUBBLICA
17 novembre 2001
Un'ordinanza del tribunale sul processo Sme
scatena il sottosegretario. I Ds: "Si dimetta"
Taormina: "Arrestate
i giudici di Milano"

ROMA - "Questo non è un confronto giudiziario, questa è una guerra che Milano
ha dichiarato a Berlusconi in quanto esponente della maggioranza del Paese
non gradita alla minoranza". Un'ordinanza dei giudici milanesi durante il
processo Sme-Ariosto con Berlusconi imputato scatena ancora una volta l'ira
del sottosegretario agli Interni Carlo Taormina che chiede addirittura ai
magistrati di Brescia (competenti per reati commessi da quelli di Milano)
di far arrestare i loro colleghi milanesi. Secca la replica del congresso
Ds: "Adesso basta. Questa volta Taormina si deve dimettere". E la Quercia
annuncia una richiesta ufficiale di dimissioni.
A scatenare Taormina, non nuovo ad attacchi durissimi ai magistrati, è stata
un'ordinanza con la quale la prima sezione del Tribunale penale di Milano,
nell'ambito del processo Sme-Ariosto, ha superato la sentenza con la quale
la Corte Costituzionale aveva annullato un'ordinanza emessa dal gup Rossato.
In questo modo il collegio giudicante, presieduto da Luisa Ponti, ha respinto
la richiesta delle difese di retrocedere il giudizio in corso in sede di
udienza preliminare.
E Taormina dopo aver chiesto l'intervento del capo dello Stato, del governo
e del presidente della Camera, sollecita la procura di Brescia ad arrestare
e perseguire penalmente i magistrati coinvolti in tale decisione che si sono
così macchiati del reato di favoreggiamento, e invita "tutti gli altri inquirenti"
a manifestare per "emarginare la setta del partito dei giudici".
"Non c'è fine per le mostruosità giuridiche e per l'attuazione di oggettive
manovre di reciproca copertura che a Milano si stanno compiendo - afferma
il sottosegretario - per chiudere il capitolo della guerra infinita contro
Berlusconi e Previti. L'oltraggio perpetrato contro la Corte Costituzionale,
mettendosi sotto i piedi una sua decisione risolutiva di un conflitto di
attribuzioni dall'esito a senso unico, è un atto giuridicamente eversivo
e richiede l'intervento di tutte le parti sane delle istituzioni a cominciare
dal Capo dello Stato".
I capigruppo dei Ds alla Camera e al Senato Violante e Angius hanno immediatamente
chiesto le dimissioni del sottosegretario. "Taormina, ormai quotidianamente
- hanno osservato - esprime valutazioni ingiuriose e minacce nei confronti
dei magistrati del tutto incompatibili con il suo ruolo istituzionale". Secondo
Angius e Violante, Taormina "non può più rivestire le funzioni di sottosegretario
delle quali non è più degno". Per questo chiederanno formalmente al presidente
del Consiglio la revoca del suo incarico. Dura anche la critica del senatore
della Margherita Nando Dalla Chiesa. "E' ora di dire - ha affermato - che
questo signore rappresenta un insulto in servizio permanente effettivo alla
dignità delle istituzioni. Un vero tappo per ogni legittimo confronto sulle
disfunzioni della giustizia".

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NELLE DUE ORDINANZE, CHE AVEVANO SUSCITATO LE REAZIONI DI TAORMINA, E CHE, IMPUGNATE, SONO ORA FINITE ALL'ESAME DELLA CONSULTA, I GIUDICI DEL TRIBUNALE DI MILANO RISPONDEVANO TENENDO CONTO DI QUANTO SCRITTO NELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N.225 DEL 2001 SUL CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA I POTERI DELLO STATO. VEDI:
www.giurcost.org/decisioni/2001/0225s-01.html

IL CONTENUTO DELLE DUE ORDINANZE DEL TRIBUNALE DI MILANO VENNE POI PRESO IN CONSIDERAZIONE DALLA CORTE DI CASSAZIONE IN OCCASIONE DELLE RICHIESTE DI RIMESSIONE DEI PROCESSI DA MILANO A BRESCIA:

VEDI:
www.lexfor.it/lexfor/2003-04/2003-04-Pen-Giu-2048.asp

STRALCI DA:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
...
La corte di cassazione a sezioni unite
rigetta
le richieste di rimessione e
condanna
i richiedenti alle spese del procedimento.
Così deciso in Roma il 27 gennaio 2003


"... Ciò detto, queste sezioni unite ritengono, però, di doversi soffermare
ugualmente su alcune questioni endoprocessuali vista la rilevanza ad esse
attribuita dai richiedenti e di doverlo fare, relativamente alle ordinanze
emesse dai tribunali a seguito della sentenza della Corte costituzionale
n. 225 del 2001, con una certa ampiezza, avendole inserite la richiesta di
Previti tra le prove della concertazione contra reum, e brevemente, invece,
al solo fine di metterne in evidenza alcuni profili, sulla "vicenda Mandara",
sulla "fonte confidenziale Olbia-ArRiosto", sul tema della competenza per
territorio nel processo IMI-SIR, sulla vicenda "Brambilla". a - La richiesta
di Previti, a pag. 33 e ss.gg., e la richiesta di Berlusconi, a pag. 36 e
ss.gg. - ne trattano, comunque, anche gli altri richiedenti, come si è accennato
- si soffermano su questa sentenza nell'ottica, ancora una volta, della concertazione
contra reum, concertazione, però, che, in questa occasione, ha il suo protagonista,
non in Borrelli, ma nei due tribunali. La Corte costituzionale, come è noto,
con questa sentenza, ha risolto un conflitto di attribuzione tra i poteri
dello Stato, promosso con ricorso del presidente della Camera a seguito delle
ordinanze emesse dal G.O.P. del tribunale di Milano il 17 e il 20 settembre
1999, in due procedimenti penali a carico dell'On. Cesare Previti, e delle
successive ordinanze - in particolare quelle adottate nelle udienze del 22
settembre 1999, 5 ottobre e 6 ottobre 1999 - "in quanto non avevano considerato
assoluto impedimento il diritto-dovere del deputato di assolvere il mandato
parlamentare attraverso la partecipazione a votazioni in assemblea".
La Corte costituzionale, come è noto, con questa sentenza, ha risolto un
conflitto di
attribuzione tra i poteri dello Stato, promosso con ricorso del presidente
della Camera a seguito
delle ordinanze emesse dal G.O.P. del tribunale di Milano il 17 e il 20 settembre
1999, in due
procedimenti penali a carico dell'On. Cesare Previti, e delle successive
ordinanze - in particolare
quelle adottate nelle udienze del 22 settembre 1999, 5 ottobre e 6 ottobre
1999 - "in quanto non
avevano considerato assoluto impedimento il diritto-dovere del deputato di
assolvere il mandato
parlamentare attraverso la partecipazione a votazioni in assemblea".
La Corte costituzionale ha annullato le ordinanze dopo avere dichiarato che
"non spettava al
giudice dell'udienza preliminare, nell'apprezzare i caratteri e la rilevanza
degli impedimenti addotti
dall'imputato per chiedere il rinvio dell'udienza, affermare che l'interesse
della Camera dei
Deputati allo svolgimento delle attività parlamentari e, quindi, l'esercizio
dei diritti-doveri
inerenti alla funzione parlamentare, dovesse essere sacrificato all'interesse
relativo alla speditezza
del procedimento giudiziario".
Nelle due richieste, dopo essersi richiamata la norma dell'art. 185 c.p.p.,
nelle parti in cui dispone
che "la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono
da quello dichiarato
nullo" e che "la dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento
allo
stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente
stabilito", si censurano
le ordinanze, sul punto, della I e della IV sezione del tribunale di Milano,
del 17 novembre
e del 21 novembre 2001, "per avere avallato, con argomentazioni capziose
e sofistiche e con
abili giri di parole - secondo la richiesta di Previti - una macroscopica
contraddizione in termini,
cioè che l'annullamento della Corte costituzionale non avesse comportato
la nullità delle
ordinanze annullate", o - richiesta di Berlusconi, "per avere effettuato
una 'insubordinazione' al
comando giuridico promanante dal provvedimento di annullamento della Corte
costituzionale".
Le censure impongono di porre in rilievo che sono gli stessi richiedenti
che, nel momento
in cui prestano attenzione alla norma dell'art. 185 c.p.p., mostrano di rendersi
perfettamente
conto che la nullità di un atto processuale, in tanto rende invalidi gli
atti consecutivi, in quanto
questi atti dipendano da quello dichiarato nullo.
Secondo la giurisprudenza di questo supremo collegio, infatti, "deve ritenersi
derivato da
altro precedente quell'atto che con il primo si ponga in rapporto di dipendenza
effettiva, del
111
quale venga, cioè, a costituire la conseguenza logica e giuridica, nel senso
che l'atto dichiarato
nullo costituisce l'ineliminabile premessa logica e giuridica di quello successivo,
per modo che,
cadendo tale premessa, restano necessariamente caducati anche gli atti che
ne conseguono"
(Cass., 22 dicembre 1997, Nikolic; 19 settembre 1997, Guzzardi).
La medesima giurisprudenza non ha, inoltre, mai dubitato che, "in tema di
estensibilità di
nullità di un atto processuale ad altro atto processuale, al giudice penale
è riservato in ogni caso il
potere d'indagine e di decisione circa la sussistenza di un rapporto di connessione
tra i vari atti"
(per tutte: Cass., 8 febbraio 1980, Villa).
Se questi sono i principi che si deducono dalla norma dell'art. 185 c.p.p.,
la I sezione del tribunale,
nella sua ordinanza, è rimasta nell'ambito dei poteri conferiti al giudice
dalla legge quando
ha dichiarato che, "nel caso di specie, non sussistono i presupposti per
disporre la regressione
del procedimento, sia perché la nullità dell'ordinanza 20 settembre 1999
non si è comunicata a
nessun altro atto e tanto meno al decreto che dispone il giudizio - che sarebbe
arduo ritenere
collegato necessariamente in via logico-giuridica all'ordinanza del 20 settembre
1999 -, sia
perché in nessun modo la tenuta di quella particolare udienza meramente interlocutoria
in
assenza del suddetto imputato ha compromesso i suoi sostanziali diritti di
difesa".
Il tribunale, poco prima, aveva spiegato perché l'ordinanza del 20 settembre
dovesse
ritenersi innocua, osservando che, "nell'ambito di quell'udienza del 20 settembre
1999, non era
stato assunto nessun provvedimento dopo il rigetto della richiesta di rinvio
per impedimento
dell'imputato, tranne il provvedimento di rinvio all'ulteriore udienza del
24 settembre, di cui non
fu disposta la notifica all'imputato Previti, il quale, peraltro, è intervenuto
alla suddetta udienza
senza far valere il vizio di notifica, con ciò sanandolo ed interrompendo
definitivamente ogni
effetto diffusivo".
La IV sezione si è tenuta, come impostole dalla fattispecie, su un altro
piano, pervenendo,
però, alla stessa conclusione di non incidenza della nullità delle ordinanze
e della non regressione
del procedimento.
Dopo avere premesso che i difensori degli imputati, ad eccezione del difensore
di Vittorio
Metta, avevano chiesto che, in esecuzione della sentenza della Corte costituzionale,
venisse
dichiarata la nullità del decreto che dispone il giudizio, il tribunale ha
osservato che nella
sentenza della Corte costituzionale "è mancata ogni affermazione, da parte
della Corte, circa
la sussistenza, in capo all'imputato e per le udienze in questione - le udienze
del 22
settembre e del 5 e 6 ottobre 1999 - di un legittimo impedimento", il che
"equivale a dire - ha
aggiunto - che la nullità delle ordinanze colpirebbe gli atti successivamente
compiuti solo
laddove il giudice del dibattimento riconoscesse, ora per allora, in base
alla documentazione
prodotta per provare l'impedimento, il diritto ad ottenere il rinvio dell'udienza".
Ma, questo riconoscimento, ora per allora, del diritto ad ottenere il rinvio
dell'udienza, non
era, secondo il tribunale, giuridicamente possibile.
Se, infatti, è "onere dell'imputato, che intenda richiedere il rinvio dell'udienza
per un legittimo
impedimento, di qualsiasi natura, darne prova piena, al momento della richiesta
di rinvio,
con riferimento ai caratteri di esistenza, di assolutezza ed attualità dell'impedimento
medesimo, in
tema di impedimento parlamentare non è sufficiente produrre informale convocazione
del
deputato da parte del Capogruppo, occorrendo invece documentazione ufficiale
relativa al
calendario dei lavori della Camera di appartenenza, unitamente a prova specifica
circa la
presenza dell'imputato presso la stessa Camera contestualmente allo svolgimento
dell'udienza e ciò anche secondo la giurisprudenza della corte di cassazione
in una
fattispecie simile" (Cass., 3 dicembre 1980, Pisanò).
"Nessuna nullità, quindi, concernente l'intervento dell'imputato si è verificata
alle udienze
avanti il g.i.p. in data 17 e 22 settembre, 5 e 6 ottobre 1999, in quanto
non trattavasi della prima
udienza di costituzione delle parti e, in ogni caso, i difensori dell'imputato,
nel richiedere il
rinvio per impegni parlamentari, non ebbero a produrre documentazione idonea
ad attestare
l'esistenza e la attualità del dedotto impedimento".
Questi i punti salienti delle due ordinanze.
Può discutersi, certo, se i due collegi hanno correttamente escluso la dipendenza
logica e
giuridica degli atti successivi dagli atti dichiarati nulli e se hanno correttamente
negato la regres113
sione del procedimento; ma, con altrettanta certezza, non si può sostenere
che, nell'escludere
l'incidenza della dichiarazione di nullità delle ordinanze e nel non ravvisare
le condizioni della
regressione, quei due collegi si siano attribuiti poteri che non avevano,
sicché non si potrebbe
mai dire, tra l'altro, che le due ordinanze sono atti abnormi, "provvedimenti,
cioè, inficiati da
anomalie genetiche o funzionali tali che ne impediscono l'inquadramento negli
schemi normativi
tipici e li rendono incompatibili con le linee fondanti del sistema processuale
(Cass., 9 luglio
1997, Quarantelli).
Della censura di abnormità non v'è, del resto, alcuna traccia nelle richieste".
INES TABUSSO