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Dagospia 11 Novembre 2005

Riceviamo e pubblichiamo:

Lettera 1
Caro Dago,
approfitto della tua gentilezza e ti invio la mia replica alle gravi affermazioni di Confalonieri contenute nell'intervista di Panorama della settimana scorsa. Grazie.

Al Direttore di Panorama:

Smentisco nel modo più assoluto la ricostruzione fantasiosa ( e, per quel che mi riguarda, diffamatoria ) attribuita a Fedele Confalonieri ( “Metti una sera a cena in terrazza”, intervista di Stella Pende, Panorama 10/11/05 )[1]. Lessi il libro di Marco Travaglio, lo invitai a parlarne nel mio programma. Tutto qui.
Inoltre, una recente sentenza del Tribunale di Roma ( cui Panorama evita di accennare ) rigetta la richiesta risarcitoria di Berlusconi e stabilisce che la mia intervista e le risposte di Travaglio furono “legittime” e “ancorate a fatti veri”.
Daniele Luttazzi



[1]
Dagospia 03 Novembre 2005

Stella Pende per Panorama, in edicola domani

Si narra di lasagne bolognesi con polpettine di vitello e di un rosso Marchesi Frescobaldi. Cena segreta su una terrazza romana nel tepore settembrino. Cade l’anno 2000, l’anfitrione Roberto Zaccaria, presidente della Rai, invita il direttore generale Pier Luigi Celli e tutta la truppa del potere Rai vivente nel centrosinistra: i membri del cda di maggioranza Vittorio Emiliani e Stefano Balassone nonché Giuseppe Giulietti, e Vincenzo Vita. Il presunto gol? Cucinare, secondo i racconti, Silvio Berlusconi e parenti armando una tv da combattimento prima delle elezioni. Ed ecco un Daniele Luttazzi al vetriolo con la lasagna, un Michele Santoro più che mai guerriero con le polpette e un Roberto Benigni al suo meglio con il babà.

Peccato che anche al piano di sopra, sulla terrazza del noto avvocato Giovanni Ferreri, si mangi con amici. Sarà stato uno scherzo del ponentino o le orecchie a ventosa di qualche invitato speciale dell’avvocato, ma qualcuno capisce e carpisce nomi e dettagli. Con tanto di acuti di Celli che se ne va sbattendo l’uscio: «Finché ci sono io non se ne parla». Così narrano almeno giornali, televisioni e libri. Ma la cena, fra tante, rimane quella meno digerita. E ogni volta che salta fuori fa morti e feriti.

Comincia il Foglio il 13 aprile 2001. Parla per l’appunto di una certa cena a casa Zaccaria dove i guru di sinistra della Rai preparano programmi e chiamano alle armi i loro anchormen. Attacca un mese dopo Prima comunicazione e aggiunge all’ipotetico convivio intenti davvero osati. Scrive Pittbull in sintesi: «Il ragionamento sarebbe stato il seguente… entriamo nella campagna elettorale più difficile… è necessario impedire a quel mascalzone e mafioso del Cavaliere di prendere il potere… Come? … Impiegando uomini e risorse, reti e giornalisti a fiancheggiare la campagna dell’Ulivo contro l’arrivo dei barbari».

Bruno Vespa non poteva perdersi il caso e nel suo tomo Rai la grande guerra 1962-2002, stufo delle accuse di berlusconismo televisivo («Ho dovuto ricorrere alla moviola con il rallentatore per convincere Celli che non avevo “dato il cinque” a Berlusconi in tv»), snocciola parola per parola la prosa di Pittbul. E aggiunge fatti e particolari piccanti.

E Zaccaria si arrabbia. Moltissimo. Quella maledetta cena gli va per traverso. Querela Vespa e i suoi emuli. A quel punto la leggenda della cena mistero pare sgonfiata. Fino a oggi. Quando sull’onda di Rockpolitik di Adriano Celentano con i rinnovati siluri al Cavaliere e il rinato afflato della televisione libera, utopia giusta, calamita su un pubblico carcerato o liberato secondo le elezioni che arrivano, ecco che il tormentone della cena complotto riaffiora. Le polpette della Camilluccia tornano a essere argomento e forse arma di campagna elettorale. Solo che questa volta la frittata è girata. Allora in Rai c’era il gruppo dei D’Alemoni. Oggi c’è Berlusconi.

È infatti Fedele Confalonieri che dalla poltrona bianca di «Matrix» la rilancia: «Berlusconi doveva dire uso scorretto e tendenzioso della tv invece che criminoso. Avrà sbagliato. Ma perché nessuno si meraviglia dei complotti anti Cavaliere? Un esempio? Una certa cena da Zaccaria dove l’intera falange di sinistra si preparava alla Rai in campagna elettorale e dove Celli, che è un galantuomo, è andato via schifato».

Zaccaria si arrabbia di nuovo. Nuova minaccia di querela. «Fedele doveva smentire ma non lo ha fatto».
Confalonieri dalla sua scrivania di via Paleocapa pare sempre più motivato: «Non ci penso nemmeno! E vedremo cosa succederà. Ho affrontato in tribunale ossi molto più duri di Zaccaria. La cena c’è stata e il programma d’attacco anche. Le trasmissioni parlano chiaro: mercoledì 14 marzo, a poche settimane dalle elezioni, a Satyricon di Luttazzi si fanno allusioni sulla possibilità che quel mafioso di Dell’Utri insieme a Berlusconi avesse fatto ammazzare Paolo Borsellino e Giovanni Falcone». Addirittura... «Non solo: di aver commissionato le bombe di Firenze e di Milano e forse di aver organizzato un attentato a Maurizio Costanzo».

Il «presidente Fidel» è un fiume in piena. Ma la cena, scusi, che c’entra? «Da quella terrazza parte l’offensiva, capisce?». Capisco, ma la satira è libera in ogni dove... «Senta, se c’è una tv che prende felicemente per i fondelli il presidente del Consiglio quella è la nostra. Ma dargli dell’assassino è campagna politica a dir poco misera e sleale».

Si alza e ricorda che quando D’Alema chiese 10 miliardi a Giorgio Forattini per una vignetta, non furono molti a turbarsi. «Ma poi da quella sera è un’escalation. Dopo Luttazzi anche Santoro con Raggio verde riprende la storia di Borsellino. Non sapendo che si parla di un’inchiesta della procura di Caltanissetta basata sulle accuse dei soliti pentiti. Ma che un mese prima della trasmissione di Luttazzi è stata chiesta l’archiviazione del procedimento. Per non parlare dei monologhi di Benigni contro Berlusconi ideati dal capo della resistenza Carlo Freccero. Programmi covati quella sera. Tanto che Celli, che è un galantuomo, proprio lì ha cominciato a pensare di andarsene».

Il galantuomo che non ha mai smentito davvero né ammesso davvero la cena delle beffe rimane sul vago. Eroe del genere com’è. «Quando fai il direttore generale della Rai, ingrassi: cene a destra e a sinistra. E anche in mezzo. Tant’è vero che all’epoca ho mangiato perfino con Berlusconi». Ma le polpette di Zaccaria le ha mangiate o no? «Polpette buone me le sarei ricordate. Può darsi, ma non è stata sicuramente l’ultima cena. Da Zaccaria era a settembre e io mi sono dimesso a febbraio». Carlo Rossella dice che lei aveva preso l’ultimo elicottero da Saigon per non mischiarsi alle bombe dei kamikaze Zaccaria e Fruttero. Celli non fa una piega: «Rimane che non potevo più tollerare l’uso eccessivo e parziale di certi programmi e anche che Zaccaria, dopo quella cena e altre cene, convocasse da solo direttori di rete capostruttura per indagare nel merito dei programmi. Ho detto: se non la smetti… Non ha smesso».

E il padrone di casa? Conferma: «La cena c’è stata, come cento altre». Ma smentisce: «L’intento della cena e cioè il complotto lo rifiuto e ho querelato chi ne ha parlato così certamente». Eppure, in troppi giurano che da quella cena misteriosa è cominciato il flusso velenoso delle trasmissioni siluro contro Berlusconi. E che lei, saltando Celli, convocasse direttori e affini. Si dice anche che a un certo punto la consapevolezza della partita elettorale persa ha caricato al massimo il vetriolo dei cosiddetti D’Alemoni. Cioè voi. «Errore di grammatica, signori» dice Zaccaria. «Lo sanno anche gli uscieri che in Rai il presidente non può nulla contro il potere del direttore generale. Celli non si dimette per l’ultima cena, ma perché sa che con il quadro politico postelettorale non sarebbe troppo garantito. Così trova genialmente una scappatoia professionale».
È vero che Zaccaria sapeva che Luttazzi avrebbe mangiato Berlusconi? Zaccaria nega. «Io non sapevo proprio nulla in anteprima. Gli artisti e Freccero avevano la loro autonomia. Certo poi ho difeso Luttazzi. Come deve fare un presidente». Forse avrebbe dovuto difenderli prima?
E l’unico escluso dalle polpette, colui che Confalonieri chiama il leader della resistenza? Freccero ghigna. È rimasto il Lucignolo televisivo di sempre. «Oddio, questa cena è un incubo. Io faccio solo picnic. Senta, ho fatto la televisione che mi piaceva. A un certo punto ho capito che per rivitalizzare la Rai bisognava rimettere al centro la questione della satira». Ma non è stato Freccero ad avere raccontato a Vespa di aver fatto perdere con la sua campagna politica un milione di voti a Berlusconi? Freccero satanasso non batte ciglio. «La televisione aveva già capito che Berlusconi era il vincitore. La nostra dunque non era una tv di attacco, ma di denuncia». E nell’apoteosi della sua luciferina lingua di Belzebù: «La televisione è meteorologia, le sue previsioni vanno rispettate».
Al proposito quell’ascoltatore anonimo della terrazza, orecchiuto e prolifico di notizie, vuole aggiungere la sua di previsione meteorologica: «Il siluro gira gira torna indietro a chi lo tira».



INES TABUSSO