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L'UNITA'
8 novembre 2005

Destini incrociati
Silvio e Cesare gli inseparabili
Marco Travaglio

Il retroscena
La villa di Arcore, la Sme, la Mondadori... fino alla stagione dei processi. Ecco perché i destini di Previti sono strettamente intrecciati a quelli di Berlusconi
L’avvocato e il premier, i due inseparabili


Ogni tanto salta su qualcuno a dire che «stanno scaricando Previti». Talvolta, più raramente, qualcuno prova a scaricarlo davvero. Puntualmente Previti fa capire che lui non è scaricabile. Accadde, per esempio, nel ’97 quando emerse lo scandalo Imi-Sir: Cesarone indagato per aver corrotto giudici per conto dei Rovelli. Berlusconi disse che lui, per una volta, non c’entrava. Previti gli rammentò che «i giudici perseguitano me per arrivare a Silvio».
La scena si ripetè nel 2003, dopo il flop della legge sulle rogatorie e della Cirami: Berlusconi si mise in salvo con il lodo Maccanico, che immunizzava le alte cariche lasciando in mutande quelle basse. Per esempio Previti. Che gli ricordò: simul stabunt, simul cadent. Poi però Cesare fu condannato due volte, per Imi-Sir/Mondadori e per Sme-Squillante, Silvio no, grazie ad attenuanti generiche e prescrizione. Prontamente, in appello, Cesare tentò di ricongiungersi all'inseparabile Silvio, chiedendo alla Corte di riunificare i rispettivi processi. Ora si gioca la partita finale. E l'Udc tenta di separare gli inseparabili: prescrizione assicurata per i processi di primo grado (per esempio, quelli a Berlusconi per i diritti Mediaset e a Cuffaro per favoreggiamento mafioso), ma non per i processi d'appello e Cassazione: guardacaso Previti ne ha uno in appello (Sme-Squillante) e uno in Cassazione (Imi-Sir). Rieccolo dunque in trincea a ricordare che lui non è scaricabile. Come se ce ne fosse bisogno.
Una poltrona per due Chi conosce almeno il sommario della Berlusconi Story sa che Previti l'ha amorevolmente accompagnata passo passo, fin dall'inizio. Nel '73, quando Silvio si fece la prima villa rilevandola per un tozzo di pane dalla marchesina Annamaria Casati Stampa, Previti c'era: nella doppia veste di pro-tutore della venditrice e di amico dell'acquirente. Negli anni 70 sia il padre Umberto sia lui si prestarono ad amministrare società in cui Berlusconi preferiva non comparire. Nei primi anni 80, quando l'Efibanca (gruppo Bnl, infestata di piduisti) prestò vagonate di miliardi al Cavaliere per l'assalto alle tv, Previti c'era: nella doppia veste di legale del Cavaliere e di consulente di Efibanca. Nel 1985, quando Renato Squillante interrogò Berlusconi sulle antenne abusive a Roma, Previti c'era: nella doppia veste di amico di Squillante e di difensore di Berlusconi. Il quale scaricò ogni responsabilità su una società amministrata da Umberto Previti: i due furono prosciolti a tempo di record. Nel 1986, quando Berlusconi su richiesta di Craxi cercò di impedire a Carlo De Benedetti di acquistare la Sme dall'Iri, Previti c'era: scovò un tal avvocato Italo Scalera per presentare una controfferta di disturbo e far saltare il precontratto siglato da Prodi e dall'Ingegnere.
Poi gestì la battaglia legale di Berlusconi al Tribunale di Roma, che diede torto a De Benedetti grazie a una sentenza di primo grado firmata dal suo amico Filippo Verde. Nel 1989-'90, nella guerra di Segrate fra Cavaliere e Ingegnere per il controllo della Mondadori, Previti c'era: da un lato coordinava riservatamente il collegio legale di Silvio, dall'altro era molto amico del giudice Vittorio Metta che diede ragione alla cordata Formenton-Fininvest, annullando il famoso lodo e consegnando la casa editrice ai berluscones.
Il prode Metta lasciò poi la toga per andare a lavorare con la figlia in un noto studio legale. Quale? Lo studio Previti. Anche nel 1991, quando si trattava di arrotondare i magri stipendi di Squillante estero su estero, Previti c'era: i quattrini, gentilmente offerti dal Cavaliere tramite All Iberian, approdavano sul suo conto svizzero «Mercier» e di lì sul «Romena» del giudice romano. Nel '93, quando Silvio meditava la discesa in campo, Previti c'era: con Dell'Utri e Ferrara si batteva contro l'ala morbida (Letta e Confalonieri), che di fare un partito non ne voleva sapere per quisquilie tipo conflitto d'interessi. Nel '94, quando la Fininvest si fece partito e poi Stato, Previti c'era: doveva diventare ministro della Giustizia, poi Scalfaro lo guardò in faccia e lo dirottò alla Difesa. Quando si trattò di strappare a Mani Pulite la bandiera Di Pietro, lui c'era: mise a disposizione il suo studio per l'incontro fra Silvio e Tonino. Che però rifiutò.
Allora si passò al piano B: distruggere Di Pietro. Previti c'era: si occupò anche lui del dossier Gorrini sui vecchi prestiti avuti dal pm, poi, quando Biondi aprì un'indagine riservata, avvertì il magistrato della «polpetta avvelenata». Di Pietro capì l'antifona e si dimise. Nel '95 saltò fuori un nuovo dossier, quello di D'Adamo, che offrì al Cavaliere la testa dell'ex amico Tonino in cambio di aiuti dalle banche: a raccogliere i veleni di D'Adamo («montati» con un abile taglia e cuci), c'era anche Previti. Nel '96 Squillante stava per essere candidato in Forza Italia: il ministro della Giustizia ideale. Poi fu arrestato grazie alle rivelazioni di Stefania Ariosto e alle carte svizzere sui conti esteri, comunicanti con quelli di Previti.
Proposte non rifiutabili Ora gli smemorati si meravigliano degli alti lai di Cesarone per l'emendamento contra personam alla legge ad personam ex Cirielli. Benedetti ingenui. Basterebbe rivolgersi a Filippo Mancuso, che il 25 settembre 2002 scrisse tutto in un dossier consegnato a Pierferdinando Casini (che non lo volle nemmeno toccare). S'intitolava «I fatti dimostrativi circa i rapporti fra Silvio Berlusconi e Cesare Previti»: otto prove che «Berlusconi non è psicologicamente e moralmente libero davanti a Previti». Una a caso: «Il 28 giugno 2000 vengo chiamato nello studio di Berlusconi in via del Plebiscito, dove trovo Pisanu, Letta e, mi pare, Bonaiuti. L'esigenza di questa riunione nasceva da due telefonate, una dell'allora premier Giuliano Amato, l'altra del Guardasigilli Fassino, aventi a oggetto l'amnistia e/o condono… Il giorno dopo vi sarebbe stato un incontro ufficioso sul tema fra Berlusconi e Fassino (…). Durante la consultazione preparatoria tra me e Berlusconi, fa ingresso nello studio Letta: "Presidente, c'è per te al telefono Previti che vuole parlarti subito". Mai avrei immaginato di ascoltare il formalissimo Berlusconi esplodere in una così furiosa reazione verbale, un'esplosione di insofferenza e stanchezza psicologica: "Dì a questo signore che non voglio assolutamente né vederlo, né sentirlo. Basta! Basta! Non si faccia vedere!" (...). Allora Letta: "Presidente, ascoltami, è meglio per tutti che tu gli risponda, è assolutamente necessario. Vieni al telefono e rispondigli". Il presidente esegue l'invito alla stregua di una "proposta che non si può rifiutare". (…) Concluso il colloquio, Berlusconi ancora in preda a forte agitazione, mi parla come segue: "Scusami, Filippo, hai capito quali sono i miei rapporti con Previti? Non mi lascia in pace. A suo tempo per il ministero della Giustizia, e via via un'infinità di pretese incessanti nella stessa materia. Ricordalo!"». Mancuso l'ha ricordato. Altri no.



INES TABUSSO