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CORRIERE DELLA SERA
26 agosto 2005
La Via più Semplice
di FRANCESCO GIAVAZZI

Oggi, alla riunione del Cicr (il Comitato per il credito e il risparmio),
il Governatore sosterrà che il suo operato è stato sempre ineccepibile, sempre
formalmente corretto. Annuncerà anche che la Banca d'Italia riformerà autonomamente
il proprio Statuto, introducendo un limite al mandato del Governatore, purché
a nessuno venga in mente di mettere in dubbio i suoi poteri e in particolare
quelli in materia di antitrust. In parole povere, il Governatore è disposto
a lasciare, senza fretta, il suo incarico, purché le regole che si sono dimostrate
tanto pericolose nelle vicende delle Opa bancarie non siano modificate. Il
ministro dell'Economia ha più volte manifestato idee molto diverse, e a mio
parere tutte giuste, sulla governance della Banca d'Italia.
Oggi è giunto il momento di capire se si trattava di opinioni personali,
oppure di volontà politica; di capire cioè se questo ministro è solo un accademico
preso a in prestito dalla Casa delle Libertà per fare bella figura sui mercati,
oppure un vero ministro dell'Economia, del calibro dei suoi illustri predecessori,
da Quintino Sella a Carlo Azeglio Ciampi.
La strada da seguire per cambiare le regole e rimediare rapidamente al danno
che Antonio Fazio ha arrecato alla credibilità internazionale dell?Italia
è molto semplice.
Nella scorsa primavera le Commissioni Finanze e Attività produttive della
Camera dei Deputati, discutendo la legge sul risparmio, approvarono, con
una maggioranza bipartisan, due emendamenti: il primo prevedeva il mandato
a termine per il Governatore, il secondo sottraeva alla Banca d'Italia la
responsabilità per la concorrenza tra le banche, attribuendola all'Autorità
Antitrust. La Casa delle Libertà successivamente cambiò idea e in aula la
legge venne approvata senza questi due emendamenti. In luglio, quando la
legge arrivò alla Commissione Industria, commercio, turismo e alla Commissione
Finanze e tesoro del Senato per la seconda lettura, i due emendamenti vennero
riproposti dai senatori Ds. Entrambi vennero bocciati con il voto non soltanto
dei senatori del Polo, ma anche di quelli della Margherita, guidati dal senatore
Natale D'Amico, un ex dirigente della Banca d'Italia.
Il 13 settembre la legge arriverà in aula al Senato. Se il ministro dell'Economia
vuole davvero cambiare la governance della Banca, basta che egli riproponga
i due emendamenti (per farlo c'è tempo fino all'8 settembre) e dichiari la
volontà del governo di approvarli. La legge, nella nuova formulazione, potrebbe
quindi essere votata dalla Camera prima dell'inizio della sessione dedicata
alla Legge finanziaria.
L'alternativa è non fare nulla (cioè presentare al Cicr una dotta relazione
sul futuro della Banca d'Italia, senza tuttavia indicare alcuna azione concreta)
oppure alzare il tiro annunciando una legge di riforma specifica. Una simile
legge, per quanto perfetta, non avrebbe alcuna possibilità di essere approvata
prima delle elezioni. Sarebbe un modo equivoco per mantenere tutto com?è.
Nell'intervista estiva al Sole24Ore Romano Prodi ha annunciato, per la Banca
d'Italia, un progetto coerente con questi due emendamenti. I senatori della
Margherita li hanno bocciati, con buona pace di chi ritiene che i pochi liberisti
siano tutti al «centro». La parola è a Rutelli.
giavazzi_f@yahoo.com




La Stampa
26 AGOSTO 2005
Con o senza Fazio
di TITO BOERI

Invece di portare subito la crisi Banca d'Italia in Parlamento, il governo
ha preferito convocare e poi rinviare a fine agosto una riunione del Comitato
interministeriale per il credito e risparmio (Cicr). Oggi sapremo se, come
temiamo, è stato solo uno stratagemma per prendere tempo e poi lasciare tutto
come prima, anziché sfruttare il senso d'urgenza suscitato dalla crisi per
forzare una riforma comunque necessaria.
Banca d'Italia va riformata con o senza Fazio. Perché la struttura di governo
dell'istituto, le sue competenze, e il suo modo di rispondere (meglio, di
non rispondere) del proprio operato di fronte al Paese sono anacronistici,
non a caso unici nell'ambito dell'Unione monetaria europea. Questi aspetti
sono apparsi chiari a tutti nelle ultime settimane quando abbiamo saputo
fino a che punto il governatore abbia potuto agire in splendido isolamento,
potendo ignorare il parere di tutti, dentro e fuori l'istituto. Lo hanno
saputo, e anche questo è indicativo, grazie all'operato della magistratura.
Abbiamo anche toccato con mano il fatto che questa governance impedisce a
Banca d'Italia di correggere i propri errori. Nonostante il capitale umano
concentrato in via Nazionale, l'istituzione non ha reagito ai danni per la
sua immagine e per quella del Paese causati dall'azione del governatore.
Meno evidente è forse risultata ai più la posta in gioco nel conflitto sulle
competenze sull'antitrust bancario. Il nostro Paese ha bisogno, per uscire
dal declino economico cui sembra destinato, di un sistema bancario efficiente,
in grado di facilitare l'accesso al credito da parte di chi è in grado di
investire nel futuro. Oggi i neolaureati della Bocconi, accettati nelle migliori
università straniere, non riescono a farsi concedere un prestito dalle banche
per finanziare i propri studi. Chi ha un ottimo curriculum e ottime opportunità
di carriera ma, per sua sfortuna, non ha ancora un contratto di lavoro permanente,
fatica ad accedere ai mutui per comprarsi una casa. Abbiamo costi dei servizi
bancari, anche quando aggiustati per tenere conto delle specificità di ciascun
Paese, tra i più alti d'Europa, senza che questi più alti costi siano compensati
da una remunerazione più alta dei depositi per un dato tasso attivo. Al contrario,
l'Italia ha, dopo la Germania, lo spread più alto fra tassi attivi e passivi
nell'ambito dei maggiori Paesi industrializzati. Secondo le indagini della
Commissione europea, siamo anche il Paese i cui cittadini sono maggiormente
critici rispetto alla trasparenza delle informazioni fornite loro dalle banche.
Sono tutti mali che possono essere curati mediante iniezioni di concorrenza,
facendo dipendere l'autorizzazione alle fusioni bancarie intra e internazionali
dall'impatto competitivo di queste aggregazioni, spezzando i cartelli collusivi,
limitando la concentrazione delle partecipazioni di industriali nelle banche
e aumentando la trasparenza nell'operato delle banche, a partire dal sottoporre
le obbligazioni bancarie alle regole del mercato. Ci vuole chi si batta per
garantire questo bene pubblico che è la concorrenza, nel sistema bancario.
Non è certo via Nazionale, chi governa le banche o è da queste governato,
a spingere per una maggiore concorrenza, che ridurrebbe i loro margini di
profitto.
Se la riforma va fatta anche senza Fazio, non si può delegare a Fazio il
compito di varare la riforma. Ha dato ampia prova in questi anni, a partire
dalla sua opposizione all'ingresso dell'Italia nell'euro, di opporsi con
decisione a qualsiasi riduzione dei propri poteri. E non è certo l'Europa
a imporci la strada dell'autoriforma. Come spiegato da Francesco Vella sul
sito www.lavoce.info, la Banca centrale europea non si opporrebbe certo ad
una riforma votata dal Parlamento che applicasse a via Nazionale il modello
della Bce in termini di collegialità, accountability e assenza di competenze
sull'antitrust bancario. Non solo l'Europa non riduce i poteri (e dunque
neanche i doveri) della nostra classe politica nel varare una riforma improrogabile,
ma anzi è proprio l'Europa a chiedercela. Non soltanto l'opinione pubblica
e la stampa internazionale che hanno dato ampio risalto alle vicende di via
Nazionale. E' la stessa Banca centrale europea a chiederci di intervenire.
Perché non solo il suo modello di governance, ma anche i suoi pronunciamenti
sull'accountability delle banche centrali e le sue regole di condotta interne
sono antitetici rispetto alla gestione monocratica di Banca d'Italia e al
suo operato nella vicenda Antonveneta. E non è possibile che nell'ambito
di ciò che si definisce come il sistema di banche centrali europeo possano
coesistere regole così diverse e banche centrali coinvolte in crisi che possono
incrinare la credibilità dell'intero sistema e governatori che, anche dopo
l'ingresso del proprio Paese nell'Unione monetaria, definiscono l'euro come
un purgatorio.




INES TABUSSO