l'abolizione dell'ICI è contro il federalismo fiscale.

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DarkWalker
00lunedì 4 agosto 2008 12:19
Rispetto alle gravi difficoltà finanziarie del Paese tutti parlano del federalismo fiscale come dell'unica soluzione possibile: Bossi ne ha fatto il suo cavallo di battaglia. Lei stesso ne aveva parlato un po' di tempo fa. Ma per prima cosa hanno abolito l'Ici che era una delle pochissime entrate autonome degli enti locali. C'è una logica? Se c'è vuole spiegarmela?
Secondo me non c'è! A meno che si consideri come una logica il fatto che Berlusconi, consapevole che abolire una tassa vuol dire guadagnare voti, l'aveva incautamente promesso in campagna elettorale. Dopo di che bisognava dar seguito, e in fretta e furia la si è abolita. Salvo essere costretti, subito dopo, a reinventare qualche cosa di corrispondente: il che è quanto si sta cercando di fare promettendo di rimborsare i Comuni con soldi dello Stato centrale. Il che vuol dire andare nella direzione opposta a quella del federalismo fiscale.
La verità è che c'è una contraddizione profonda fra la logica del federalismo fiscale, che si basa sull'idea che le tasse vanno imposte al contribuente cominciando dai bisogni dell'amministrazione pubblica più vicina a lui - sulla quale può esercitare il controllo di chi vede che cosa si è fatto e si fa dei suoi soldi - e la logica del centralismo, che tende a separare il più possibile il contribuente dal giudizio sull'uso che dei suoi soldi si intende fare portandoli in un calderone unico e lontano, del quale dispone chi sta al centro. Nel primo caso chi è costretto a pagare - per esempio chi ha una casa - sarà sfidato a controllare il suo Comune per fare in modo di potere ottenere una riduzione del suo sacrificio: e lo farà votando o non votando i suoi amministratori. Nel secondo caso chi ha pagato saprà poco e male dove sono finiti i suoi soldi e a vantaggio di chi sono stati impiegati. È chiaro che nel secondo caso maggiori saranno tanto la resistenza del contribuente quanto i possibili sprechi. Col risultato che il problema centrale del quale ci stiamo occupando, ossia lo squilibrio finanziario della nostra Amministrazione pubblica, tenderà ad aggravarsi.
A questo punto, caro Bertolini, Lei avrà certamente capito qual è la mia risposta alla prima parte del suo quesito: se chi vuole il federalismo fiscale lo vuole per consentire ai cittadini di responsabilizzarsi sulla finanza pubblica, cominciando dalla finanza locale, e per abituarsi all'autogoverno, allora le imposte locali, come l'Ici, saranno più rivendicate che ripudiate: e dovrebbe essere questo il caso delle forze politiche autonomiste come la Lega. Se invece chi dice di volere il federalismo fiscale pensa solo a come uscire da una situazione pre-fallimentare dello Stato centrale procurandosi il maggior numero possibile di voti ma non rinunciando alla prassi centralista, allora è chiaro che la classica illusione di poter avere la botte piena e la moglie (gli elettori) ubriaca permarrà: appariranno soluzioni miracolose come le carte sociali o le Robin-tax, ma la contraddizione tra il volere il federalismo fiscale e abolire l'Ici rimarrà: a rivelare che quando le logiche in campo sono due, fra loro in contrapposizione, ogni tentativo di spiegazione logica unitaria è impossibile.
Ma nella seconda parte della sua domanda Lei mi chiede: come si spiega questo pasticcio, che peraltro - lo si capiva - Lei aveva ben visto da solo?
Per me si spiega in un solo modo: lo schema centralista del nostro Stato è alla frutta. Non vederlo è impossibile. Ammetterlo è politicamente molto difficile. La sola via di uscita sembra quella dell'eterno trasformismo e delle mezze verità: diamo un po' di autonomia e intanto approfittiamone per scaricare sulla periferia il compito di trovare i soldi che non ci sono e in assenza dei quali toccherà a loro di ripristinare le tasse che dal centro abbiamo tolto. Funzionerà il giochino?
Io credo proprio di no: perché se è vero che la nostra situazione finanziaria è molto seria, è altrettanto vero che l'impianto centralista del nostro Stato non è capace di durare.
Tutto è ormai dalla parte di un vero federalismo non soltanto fiscale ma anche costituzionale: dalla glocalizzazione all'Europa, dall'esigenza di ridimensionamento del pubblico all'esigenza di ridistribuire tra Regioni e generazioni il carico del nostro debito pubblico. Non passerà quindi molto tempo prima che diventi indispensabile fare ricorso alle risorse, non solo finanziarie ma anche politiche, delle Regioni forti come la Lombardia. Si vedrà allora se i lombardi, messi di fronte alla scelta tra la volontà di rimanere in Europa e la necessità di mettere mano al portafoglio - consapevoli che nell'autogoverno ciò che aumenta è l'efficacia dei sacrifici, non la possibilità di non farne - sapranno fare la scelta giusta: accettare la sfida fiscale per pretendere insieme una vera autonomia politica.
Federalismo fiscale e autotassazione cesseranno allora, ma solo allora, di essere in contraddizione.




Articolo pubblicato il 28/07/08 Angelo Bertolini
Lux-86
00lunedì 4 agosto 2008 13:26
Il problema dell'ICI è che, federalista o no, è sempre stata considerata una tassa iniqua paragonabile a una gabella medievale.

Sulla Lombardia invece il problema è uno solo: economicamente è fortissima, politicamente invece non conta nulla. la lega, il partito che dovrebbe difenderne gli interessi, non ha nemmeno il controllo della Regione e, quando è al governo, cura più gli interessi del nano che altro. Formigoni invece, o qualunque altro presidente della regione, non ha la forza istituzionale ne' il carisma personale per incidere sull'azione di governi. A conti fatti stiamo assistendo al delitto perfetto: si scaricano poteri e responsabilità alle regioni, non gli si da alcun peso politico, le si priva di fondi, le si costringe a reintrodurre nuove tasse e si scarica il debito pubblico su di loro senza che possano fiatare. Così il cittadino si trova a pagare lo stesso numero di tasse allo stato, e in più quelle nuove della Regione.
DarkWalker
00martedì 5 agosto 2008 12:09
Sì hai ragione. sotto questo profilo l'unica positività da segnalare è che, almeno in Lombardia (e province e comuni lombardi) destra e sinistra hanno smesso di battibeccare e sono uniti nel chiedere più autonomia (e se non è un segnale di crisi questo...). Questa compattezza però dovrebbe riguardare anche le altre regioni e le regioni fra loro.
Insomma la ricchezza la abbiamo noi, se avessimo l'unione (e gli attributi) per non mandare più soldi allo stato centrale sarebbero costretti ad ascotlarci.
Lux-86
00martedì 5 agosto 2008 17:34
Re:
DarkWalker, 05/08/2008 12.09:

Sì hai ragione. sotto questo profilo l'unica positività da segnalare è che, almeno in Lombardia (e province e comuni lombardi) destra e sinistra hanno smesso di battibeccare e sono uniti nel chiedere più autonomia (e se non è un segnale di crisi questo...). Questa compattezza però dovrebbe riguardare anche le altre regioni e le regioni fra loro.
Insomma la ricchezza la abbiamo noi, se avessimo l'unione (e gli attributi) per non mandare più soldi allo stato centrale sarebbero costretti ad ascotlarci.




Già, vero. Però il problema, allo stato attuale, è che lo stato non ha alcuna ricchezza da spartire con le regioni, solo un debito pubblico immenso. Se le Regioni, che probabilmente hanno un controllo maggiore sulla ricchezza reale, trovassero il modo per bloccare i rifornimenti allo stato centrale succederebbe che manderebbero in rovina i detentori di bot et simila, che sono poi in maggioranza cittadini italiani. Cioè, a noi piace pensare che chiudere i rubinetti a Roma voglia dire basta sprechi, in realtà la faccenda è molto più articolata. In mancanza di soldi la prima struttura a risentirne sarebbe la sanità, poi la sicurezza, l'inps poi via via le varie articolazioni dello stato. Altro che liberazione, sarebbe un disastro [SM=x751545]
Un inizio, invece, potrebbe essere che la conferenza delle regioni al posto di essere una rimpatriata tra amici cominci a comportarsi come camera federale, un atto eversivo, se vogliamo, ma di sicuro impatto se cominciasse a riunirsi regolarmente, a dare indirizzi d'azione vincolanti per le regioni... potrebbe diventare una sorta di pistola puntata alla testa del governo e, quindi, acquisire quel potere politico necessario ad avviare una discussione politica virtuosa.
DarkWalker
00domenica 17 agosto 2008 17:50
"Il Presidente" del Nord
di ILVO DIAMANTI

Umberto Bossi non parla mai a caso. Neppure quando esagera. Neppure quando poi si corregge. E capitano spesso entrambe le cose. Soprattutto a Ponte di Legno, dove, da decenni, trascorre le ferie estive. Usa il tradizionale "discorso di Ferragosto" per annunciare le campagne d'autunno. O più semplicemente, per riposizionare la Lega al centro del dibattito politico nazionale. Come ha fatto in passato, quando, proprio a Ponte di Legno, ha anticipato e quindi sostenuto la "battaglia per l'indipendenza padana". In altri anni, ha, invece, polemizzato con la Chiesa. Nemica della secessione. Ogni anno un'invenzione. Così, negli anni Novanta l'estate è divenuta una stagione "politica" leghista. Sfruttando il vuoto informativo, mentre le altre forze politiche andavano in ferie oppure si dedicavano alle feste di partito, la Lega si mobilitava. E dava materia interessante ai giornali e ai giornalisti. Che la seguivano in massa. Poi, per alcuni anni, dopo l'eclissi elettorale di fine millennio e, soprattutto, dopo la malattia di Bossi, anche la Lega ha rispettato il periodo feriale. Ponte di Legno è divenuto un luogo di riposo. E di convalescenza, per il leader e la Lega. Oggi, insieme a Bossi e alla Lega, anche Ponte di Legno è tornata ad essere una capitale politica estiva. Controcanto di Villa Certosa. Per questo la promessa di Bossi, di "restituire l'Ici ai Comuni", appare importante. Perché suggerisce le preoccupazioni e, al tempo stesso, le strategie future della Lega. Dal punto di vista esterno, ma anche interno. Né il chiarimento avuto con Tremonti cambia la sostanza del discorso.

1) Anzitutto, c'è una preoccupazione "sostanziale" e progettuale. L'abolizione dell'Ici è popolare, fra i cittadini, perché si tratta di una tassa in meno per oltre il 70% degli italiani, proprietari di casa. Tuttavia, l'Ici è un'imposta comunale, applicata e incassata dai comuni. La principale fonte di autofinanziamento per le casse sempre più esauste delle amministrazioni locali. Abolirla per programma, farne il manifesto elettorale, è, sicuramente, servito al Pdl. Ma per la Lega era e resta un non-senso. Un partito che si presenta come il portabandiera dell'autogoverno locale: come può farsi complice di un atto che sottrae agli enti locali il principale e più sostanzioso strumento di autofinanziamento? È una contraddizione in termini. Che Bossi oggi cerca di sciogliere. Così, a Ponte di Legno, ha chiarito che il federalismo fiscale non può riguardare solamente le Regioni, ma deve interessare anche i Comuni. Per i quali gli oneri di fabbricazione e l'Ici costituiscono la principale risorsa. D'altronde, la Lega è insediata al governo di centinaia di comuni di taglia piccolissima, piccola. Ma anche media e grande. Come Verona, Treviso, Varese. Alle elezioni di aprile 2008, inoltre, si è imposta come primo partito in oltre 800 comuni (su circa 4000, al di sopra del Po; Aosta e Bolzano escluse). E nei piccoli e medi comuni del Nord pedemontano (più che padano), dove la Lega è più forte, il peso delle case in proprietà è massimo.

2) C'è, poi, la preoccupazione di Bossi di smarcare se stesso e la Lega dal Pdl di Silvio Berlusconi. Inventore dell'abolizione dell'Ici fin dalla campagna elettorale del 2006, quando l'aveva estratta, come un coniglio dal cappello, nel secondo, decisivo "faccia a faccia" in tivù con Prodi. Bossi, dopo la rappacificazione del 1999, ha sempre sostenuto, in modo fedele, l'amico Silvio. A Ponte di Legno, però, ha ribadito che non si tratta di una fiducia illimitata. Fine a se stessa. Ma fondata su solide basi di interesse. E lascia intendere che altre occasioni per ribadire la propria autonomia non mancheranno, in futuro. Soprattutto oggi che l'amico Silvio è divenuto leader di un nuovo partito, in cui è cresciuto notevolmente il peso del Sud e delle componenti più stataliste e assistenzialiste (AN).

3) Sullo sfondo, si intravede l'ipotesi - in realtà molto ipotetica - di un'intesa con il Pd. Che, a sua volta, governa in molti comuni del Centro-Nord. Sensibile alla proposta di reintrodurre l'Ici, sul tema del federalismo fiscale si è già dichiarato disponibile al confronto e a negoziare proposte comuni. Tuttavia, per la Lega, l'apertura a sinistra in questo momento costituisce soprattutto - se non solo - un mezzo per distinguersi e per esercitare pressione nei confronti del Pdl. Semmai, la Lega oggi ha interesse a presentare se stessa come opposizione "nel" governo. L'unica possibile, viste le difficoltà in cui si dibatte l'opposizione "al" governo. Cioè, il Pd e la sinistra.

4) Non vanno, infine, trascurate le ragioni "interne" alla Lega. Una, già anticipata, riguarda la preoccupazione di rispondere ai propri amministratori locali, ai propri sindaci. Pressati dalle richieste crescenti dei cittadini, mentre risorse e (auto)finanziamenti calano. Ma c'è un'altra ragione, forse più importante. Riguarda l'identità. La Lega negli ultimi anni, negli ultimi mesi, si è caratterizzata sempre più come soggetto "securitario". Attraverso le campagne sugli (e, spesso, contro gli) immigrati e i rom. Non è un caso che il suo uomo di governo più popolare e rappresentativo, oggi, sia Roberto Maroni, ministro degli Interni. Che proprio nei giorni scorsi ha ribadito l'efficacia dei provvedimenti in materia di immigrazione e criminalità comune. Rivendicando l'importanza dell'uso dell'esercito. Peraltro, fra gli amministratori della Lega, oggi i più popolari sono, forse, Flavio Tosi, sindaco di Verona, e (l'antesignano) Giancarlo Gentilini, (pro)sindaco di Treviso. Idealtipi del borgomastro che promette "ordine e polizia". Interpreta la domanda di sicurezza come risposta alle paure. L'identità locale come difesa "dagli altri". Rivendicare la restituzione dell'Ici, il federalismo fiscale, levare il dito medio contro l'inno di Mameli (al di là delle precisazioni storico-filologiche regalate da Bossi a Ponte di Legno) significa rilanciare la "Lega per l'indipendenza padana", annebbiata dalla "Lega degli uomini spaventati". Dare evidenza alla Lega dei Comuni e (prossimamente) delle Regioni, eclissata dalla Lega delle ronde.

Non bisogna, ovviamente, attendersi lacerazioni o strappi - e neppure fratture significative - su questi argomenti, nei prossimi mesi. Tuttavia, il discorso di Bossi a Ponte di Legno serve a rammentare tre cose, utili a immaginare il futuro politico italiano: a) Bossi è tornato e comanda la Lega; b) la Lega è alleato fedele di Berlusconi, ma oggi pesa molto più che nel 1994 e nel 2001: lo farà pesare; c) in questo governo e in questa maggioranza il fattore geopolitico è destinato a contare sempre più. Soprattutto in vista dell'annunciata, definitiva confluenza di FI e An nel Pdl. La Lega è (e vuole interpretare) il Nord, mentre il Pdl gravita sul Centro-Sud. La Lega abita nel Lombardo-Veneto, mentre il baricentro del Pdl è diviso fra Roma e la Sicilia. Inutile attendersi il Big Bang, in futuro. Però, forse, un Little Bang...


EDIT
Touchè, il nodo è venuto al pettine. Nodo abbatsanza clamoroso, strano che non si registri dalla minoranza un feroce sciacallaggio (possibile che il pd stia pensando seriamente di allearsi con la lega?).
Immagino che il nodo si scioglierà con il federalismo fiscale, certo la cosa non avrà un peso positivo sulla credibilità della maggioranza.
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