ricordo di jerry scheff
bellissimo ricordo di quel triste giorno di Jerry Scheff (praticamente il primo capitolo del suo libro un pò tagliato)
16 Agosto 1977, guidavo verso sud sulla autostrada che costeggia il Pacifico, guardando come l’Oceano Pacifico scompariva nei miei specchietti laterali. Stavo per iniziare un giro di concerti con Elvis Presley nella città di Bangor, nel Maine ... [ ... ]
Appena imbarcato sull’aereo, le prime persone con cui normalmente entravo in contatto erano le Sweet Inspirations [ ... ]
Le Sweets amavano ridere. Le loro risate erano frequenti, irresistibili e a volte rumorose. Potevano ridere di gioia come se stesse arrivando il Signore e mantenere lo stesso suono anche in situazioni non così buone. [ ... ] Per me, un bassista depresso che lottava lungo il corridoio con i suoi bagagli, era la più bella ricompensa. A questo aggiungiamo i sorridi e i saluti dei miei amici e nel momento in cui mi allacciavo la cintura ero già nello spirito per fare il tour.
Dal punto di vista delle relazioni, il gruppo di Elvis Presley nel 1977 era simile ad una grande, pacifica, accondiscendente coppia di mezza età che può ancora dare tanto. Avevamo ottenuto tanto nel corso degli anni – otto, per essere precisi – da quando avevamo iniziato a suonare insieme. Avevamo attraversato tutte le stronzate tipo-coniugali, avevamo sotterrato i rancori e le discordie da tempo, ed eravamo ancora pronti per il rock con poco preavviso.
[ ... ] normalmente viaggiamo – per gentile concessione del Colonnello Tom Parker – in un vecchio, lento Lockheed Electra con un armadietto pieno di biscotti alla marmellata di fichi e merendine.
[ ... ] Le risate normalmente riempivano l’aeroplano mentre si andava, mentre il russare prendeva il loro posto durante il ritorno a casa alla fine del tour. La dimensione del gruppo ci distingueva dalla maggior parte dei concerti rock a quel tempo, senza contare i tecnici, c’era più di venti persone che viaggiavano e lavoravano insieme. Abbiamo bevuto, mangiato, riso, pianto, festeggiato e – in molte occasioni – dormito insieme, non riesco a ricordare un solo serio litigio, una discussione.
Questo era tutto divertente proprio per la diversità tra di noi, eravamo uomini e donne, Caucasici, Afro-americani, Americani del nord, Americani del sud, Ebrei, Cristiani, bevitori, astemi, appassionati di droghe, hippie, reazionari, liberali, conservatori, avari, spacconi, una vergine (così diceva), appassionati del sesso e una batterista o due; guardando indietro adesso io potevo più o meno rientrare in cinque o sei categorie, anche se i miei compagni di spettacolo possono pensare che io sia diventato modesto. Chi poteva mai pensare che questo conglomerato di eccentrici, incastrati insieme dai limitati confini di un giro di concerti, potessero trattenersi dall’uccidersi l’un l’altro e diventare una famiglia nel senso più vero della parola?
Ha aiutato il fatto che fosse stato Elvis a scegliere ognuno. Se volevi avere una storia con qualcuno dovevi mettere in conto il fatto che Elvis avrebbe dovuto dare il suo assenso. ( sfortunatamente, negli anni successivi, quando Elvis non era più con noi, la nostra band si disintegrò in quelli che sono i normali gruppi rock politicamente sponsorizzati. Io ho preferito rimanere a casa.)
Solo una parte del gruppo di Elvis era a bordo quella mattina quando partimmo per Maine. Alcuni membri del gruppo vivevamo in altre parti del paese, mascherati come gente comune. Per qualche strana ragione, una piccola parte del nostro gruppo si convinse che potessero passare inosservati a Las Vegas, così dovemmo andare a prenderli. Dovemmo anche andare a prendere qualcuno dei nostri collaboratori, Sammy Shore o Jackie Kahane, quella fu la volta di Jackie Kahane. Anche Il direttore d’orchestra Joe Guercio saliva a Las Vegas normalmente, ma Joe non era sull’aereo quel giorno del 1977; stava mettendo a punto uno spettacolo per la cantante-ballerina Ann Margret che stava per iniziare una serie di spettacoli, conseguentemente uno dei suonatori di corno, Marty Harrell, fu nominato per prendere il ruolo di Joe per il primo spettacolo del tour.[ ... ]
Circa un’ora e mezza dopo aver lasciato Las Vegas stavamo volando sopra Pueblo, Colorado, quando l’allarme suono e il si accese il segnale che indicava di allacciarsi le cinture. Il pilota aveva ricevuto il messaggio di atterrare e chiamare urgentemente Memphis. Il secondo pilota venne dietro per spiegare la situazione e ricordo di aver pensato, mentre scendevamo su Pueblo “Elvis deve essere malato. Hanno cancellato lo spettacolo”.
Appena atterrati, qualcuno di noi lasciò l’aereo per camminare sotto il sole cocente verso un piccolo terminal privato. La pista era rovinata e le erbacce la invadevano, l’aria brillava, puzzava di gas di scarico degli aerei e margherite gialle, il suono scricchiolante dei grilli era assordante e saltavano sulla strada. Come riesco a vedere in retrospettiva, la gente che camminava sulla pista era tranquilla, ombre senza volto, e qualcuno – Probabilmente il suonatore di trombone Marty Harrell – fece la telefonata a Graceland. Se cerco di ricordare, qualche volta vedo noi fuori dal terminal, fermi intorno ad una polverosa cabina telefonica di vetro, altre volte in un ufficio appoggiati ad un bancone come scommettitori sul tavolo da gioco, sforzandosi di sentire la voce all’altro capo del telefono. E’ fantastico quello che il tempo e le emozioni possono fare alla tua memoria.
In ogni caso, quando colui che era al telefono mise giù la cornetta, si girò verso di noi, guardò il pavimento e disse con molta calma “Elvis è morto stamattina”.
Elvis è morto stamattina ??
A turno chiamammo casa e poi tornammo indietro sotto lo scudo protettivo delle ali del nostro aereo, dove la maggior parte del nostro gruppo era rimasto. In qualche modo la notizia della morte di Elvis era già arrivata, e, da come mi ricordo, c’era un immobilità totale sul posto. Aspettammo che anche gli altri si trascinassero verso il telefono per fare la loro chiamata a casa. Non ricordo per quanto tempo rimanemmo fermi lì fuori, ma ogni tanto l’equipaggio si affacciava al portellone di ingresso dell’aereo per poter cominciare il delicato processo di riportarci a bordo per il viaggio di ritorno a Las Vegas e Los Angeles.
Sul volo di ritorno ricordo di aver visto persone sedute sui loro sedili come pupazzi dei crash test, io proprio non ricordo di essere atterrato a Las Vegas. Quando raggiungemmo l’aeroporto di Burbank, l’aereo ballava per la turbolenza e perline di pioggia bagnavano i vetri dei finestrini, illuminati come un insegna al neon dalle luci lampeggianti dell’ Electra e dalle luci violente dei lampi. Finalmente, con grandi barcollamenti, ci preparammo ad un duro atterraggio, e mentre lasciavamo l’aereo era come se una strana barriera di imbarazzo fosse cresciuta tra tutti noi – noi che eravamo stati insieme per anni - . Non c’erano contatti di sguardi, silenzio totale, forse un bisogno di essere soli per digerire l’impensabile.
Io ricordo di aver guardato la mia Ford Thunderbird di colore blue notte attraverso una recinzione, era parcheggiata sotto un lampione del parcheggio. Mentre mi avvicinavo alla macchina, la pioggia scendeva sulla mia faccia. Mi sedetti al posto di guida, accesi i tergicristalli e mentre guardavo i miei amici sparire nella foschia, cominciai a guardare indietro, cercando di dare un senso ai pezzi del mio passato. Come ero arrivato a questo punto della mia vita?
Lo so è un po lunga anche con tutti i tagli che ho fatto, ma a me mette i brividi ...