EUROPA: il continente delle secessioni buone

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Riccardo.cuordileone
00domenica 21 gennaio 2007 18:56
Libero Domenica 21 gennaio 2007

EUROPA
Il continente delle secessioni buone

La Scozia che vuole abbandonare il Regno Unito è solo l’ultimo caso: sono più di venti i Paesi nati staccandosi da altri Stati. Quasi sempre in modo pacifico

GILBERTO ONETO


In Gran Bretagna qualcuno si preoccupa perché il Regno potrebbe non essere più Unito:
i sondaggi danno vincente la scelta indipendentista nel referendum che lo Scottish National Party vorrebbe indire subito dopo le elezioni. In Italia ci si scopre più britannici dei britannici. Ma anche più spagnoli degli spagnoli o più francesi dei francesi quando si parla di Catalogna o di Bretagna: troppi infatti si terrorizzano solo all'idea che qualche comunità voglia l'indipendenza.

Non è solo per non dovere comperare un atlante più aggiornato: !'Italia è piena di gente impaurita dai cambiamenti, dagli spostamenti di confini, dalle novità istituzionali e dalle manifestazioni di libertà o di voglia di libertà di qualsiasi popolo. Come se il dogma dell'unità, che da noi ha quadrate legioni di sacerdoti, fosse un principio universale. Come se le pulsioni altrui potessero avere conseguenze sull'immobilismo della penisola. E qui hanno ragione perché niente è più contagioso della libertà.



I falsi miti del patriottismo

E allora eccoli - come Stalin o Franco - esorcizzare ogni pericolo tirando fuori le sacre icone del patriottismo. Eccoli agitare il solito pericolo della balcanizzazione, magari citando - come ha fatto La Repubblica - Gordon Brown, prossimo primo ministro di Londra, scozzese arcibritannista, il Gianfranco Fini (padano arci-italianista) della perfida Albione.

Il richiamo ai Balcani fa sempre effetto, dai primi del Novecento in poi è stato sistematicamente usato per descrivere stati di disordine politico e di scontri inter -etnici sanguinari. Ogni volta che si parla di secessione, indipendenza ma anche solo di autonomia o di autodeterminazione saltano fuori i fantasmi di Gavrilo Princip, di Milosevic e - per i più colti - del Pascià di Gianina.

Tutte le Cassandre dell'unità (numerosissime soprattutto nei corridoi del Quirinale) dimenticano però che la penisola balcanica è un caso di commistione di diverse comunità etniche e religiose che non trova riscontro in altre parti d'Europa. Omettono anche di ricordare che i guai di tanti infelici Paesi sono venuti molto più dalla forzata convivenza che dalla separazione, che un buon divorzio è sempre meglio di un cattivo matrimonio.
Glissano soprattutto sul dettaglio che i guai sono venuti dalla sistematica violazione dei diritti di autodeterminazione: scegliere liberamente con chi stare o non stare avrebbe evitato le pulizie etniche.



La diaspora dall'Urss

È soprattutto generale il silenzio su un fatto fondamentale che riguarda la storia più recente dell'Europa e dell'ex Unione Sovietica: sui 30 Stati che hanno raggiunto l'indipendenza dall'inizio del Novecento, ben 24 sono risultati da una separazione, sono cioè tecnicamente frutto di secessioni.
Qualcuno è il risultato di riassetti conseguenti a eventi bellici, uno (la Città del Vaticano) è frutto di una sorta di "atto di pentimento", e solo 4 sono il risultato di una lotta armata: poche ore di fucilate in Slovenia, sangue in Irlanda, Croazia e Bosnia.

Negli ultimi due casi però le violenze non sono derivate dall'indipendenza in se ma da questioni di confini, e cioè proprio dal mancato esercizio della libera scelta delle comunità.
Ben 14 Stati sono nati da separazioni pacifiche, da scelte parlamentari e da referendum, da vicende in cui nessuno si è neanche sbucciato un ginocchio.

Tutti - dalla Norvegia alla Slovacchia, dall'Islanda alla Lettonia - sono oggi più liberi e più prosperi di quanto fossero nella casa madre che li inglobava. Nessuno ci ha rimesso: è un processo in cui vincono tutti.
Lo stesso vale per le comunità che oggi percorrono la stessa strada: tutti - Scozia, Catalogna, Paesi Baschi o Corsica - chiedono e si aspettano più libertà e ricchezza senza voler togliere una briciola di quelle altrui, anzi.

Ai fantasmi balcanici gli iperpatrioti italiani aggiungono poi ogni tipo di distinguo per erigere un muro di differenze fra i casi altrui e i nostri: la Sardegna non è mai stata indipendente, la Scozia sì; i Padani non hanno una lingua comune, i Catalani sì; i Sud Tirolesi sono cattolici come tutti gli altri cittadini, Serbi e Croati frequentano chiese diverse.

Giova invece ribattere, ad esempio, che gli Irlandesi e gli Scozzesi parlano inglese e questo non gli impedisce di sentirsi diversi, che gli Svizzeri hanno quattro lingue o anche che non è mai esistito uno Stato fiammingo.
In realtà non era neppure mai esistito uno Stato italiano!
Tirano fuori i fratelli Bandiera, Oberdan e il Piave e fanno finta di non sapere che qui ci sono comunità storiche, lingue antiche, tradizioni statuali di libertà in misura uguale se non maggiore che in molte altre parti d'Europa.


Il futuro del Nord Italia

Soprattutto serve appellarsi alle più moderne definizioni di comunità. La più semplice affermazione che si può fare su una nazione è - secondo Emerson - che si tratti di "un insieme di persone che sentono di essere una nazione.
"Alla fine - scrive Connor - importa non cos'è, ma cosa un popolo crede di essere" e alla "sacralità" della volontà popolare. Un sondaggio rivela che il 51% degli Scozzesi vuole separarsi dall'Inghilterra e che solo il 36% è decisamente contrario.

Una inchiesta svolta da Ilvo Diamanti e pubblicata nel 1996 dalla rivista Limes diceva che per il 36,5% dei padani l’indipendenza era «un'ipotesi inaccettabile», per l'8,5% «una via che porterebbe al disastro», ma per il 30, 7% «una prospettiva vantaggiosa sul piano concreto, ma inaccettabile» e per il 24,4% ««una prospettiva vantaggiosa ed auspicabile».

Di fronte a un referendum oggi ci si troverebbe molto probabilmente davanti a percentuali non dissimili da quelle scozzesi. (Ma non diciamo cagate! [SM=x751525] )
Oltre agli interessi che stanno dietro alla graniticità di certo patriottismo, la resistenza viene anche da carenze di marketing: la storia padano-alpina è piena di Braveheart nostrani mai valorizzati o dimenticati ma soprattutto si paga l'immagine che viene fornita da certo indipendentismo nostrano.
Decisamente Calderoli non è Sean Connery.


DOVE SONO I 25 PAESI

Norvegia (1905, dalla Svezia),
Bulgaria (1908, dalla Turchia),
Albania (1913, dalla Turchia),
Finlandia (1917, dalla Russia),
Polonia (1918 dalla Russia),
Cecoslovacchia (1918, dall'Austria),
Irlanda (1919/'22, dalla Gran Bretagna),
Islanda (1918/'44, dalla Danimarca),
Città del Vaticano (1929, dall'Italia),
Slovenia (1991, dalla Jugoslavia),
Estonia (1991, dall'Urss),
Lettonia (1991, daIl'Urss),
Lituania (1991, daIl'Urss),
Bielorussia (1991, daIl'Urss),
Ucraina (1991, daIl'Urss),
Moldavia (1991, daIl'Urss),
Georgia (1991, daIl'Urss),
Armenia (1991, dall'Urss),
Azerbaigian (1991, daIl'Urss),
Croazia (1991, dalla Jugoslavia),
Macedonia (1991, dalla Jugoslavia),
Bosnia (1992, dalla Jugoslavia),
Slovacchia (1992/93, dalla Cecoslovacchia),
Montenegro (2006, dalla Serbia)
Lux-86
00domenica 21 gennaio 2007 19:16
secessione pacifica un cazzo, provateci e vedete [SM=x751546]
io e lucas facciamo già parte del fronte unionista patriottico [SM=x751545]


Il futuro del Nord Italia

Soprattutto serve appellarsi alle più moderne definizioni di comunità. La più semplice affermazione che si può fare su una nazione è - secondo Emerson - che si tratti di "un insieme di persone che sentono di essere una nazione.
"Alla fine - scrive Connor - importa non cos'è, ma cosa un popolo crede di essere" e alla "sacralità" della volontà popolare. Un sondaggio rivela che il 51% degli Scozzesi vuole separarsi dall'Inghilterra e che solo il 36% è decisamente contrario.

Una inchiesta svolta da Ilvo Diamanti e pubblicata nel 1996 dalla rivista Limes diceva che per il 36,5% dei padani l’indipendenza era «un'ipotesi inaccettabile», per l'8,5% «una via che porterebbe al disastro», ma per il 30, 7% «una prospettiva vantaggiosa sul piano concreto, ma inaccettabile» e per il 24,4% ««una prospettiva vantaggiosa ed auspicabile».

Di fronte a un referendum oggi ci si troverebbe molto probabilmente davanti a percentuali non dissimili da quelle scozzesi. (Ma non diciamo cagate! )
Oltre agli interessi che stanno dietro alla graniticità di certo patriottismo, la resistenza viene anche da carenze di marketing: la storia padano-alpina è piena di Braveheart nostrani mai valorizzati o dimenticati ma soprattutto si paga l'immagine che viene fornita da certo indipendentismo nostrano.
Decisamente Calderoli non è Sean Connery.



ma infatti calderoli ha salvato l'Italia [SM=x751545]
le percentuali comunque sono a ruota libera, alla devolution ha votato contro il 49 % circa delle persone, togliamo un 5% (a dir tanto) di federalisti/secessionisti duri e puri e consideriamo che chi ha votato sì erano sia federalisti che secessionisti, quindi in Lombardia contro la secessione sono già oltre il 50% difficile dire di quanto però.
Lux-86
00domenica 21 gennaio 2007 19:32

Città del Vaticano (1929, dall'Italia),



puah [SM=x751578] [SM=x751578] [SM=x751578] [SM=x751579] [SM=x751579]

Riccardo.cuordileone
00lunedì 22 gennaio 2007 11:01
Re:

Scritto da: Lux-86 21/01/2007 19.16
Le percentuali comunque sono a ruota libera, alla devolution ha votato contro il 49 % circa delle persone, togliamo un 5% (a dir tanto) di federalisti/secessionisti duri e puri e consideriamo che chi ha votato sì erano sia federalisti che secessionisti, quindi in Lombardia contro la secessione sono già oltre il 50% difficile dire di quanto però.


Secondo me i secessionisti non arriverebbero neanche al 20%. E anche se votassero solo i "padani" non supererebbero il 40%.
Lux-86
00lunedì 22 gennaio 2007 11:27
Re: Re:

Scritto da: Riccardo.cuordileone 22/01/2007 11.01

Secondo me i secessionisti non arriverebbero neanche al 20%. E anche se votassero solo i "padani" non supererebbero il 40%.



dipende dal momento in cui verrebbe fatto questo ipotetico referendum, in particolari condizioni anche coloro che si definiscono comunque italiani potrebbero accettare la secessione come ultima chanche di sopravvivenza o come rivalsa verso lo stato. dipende dalle risposte che dà lo stato centrale ai bisogni delle comunità, non è certo pensabile andare avanti con questo baraccone di stato [SM=x751545]
-Giona-
00lunedì 22 gennaio 2007 11:41
Re: Re:

Scritto da: Riccardo.cuordileone 22/01/2007 11.01

Secondo me i secessionisti non arriverebbero neanche al 20%. E anche se votassero solo i "padani" non supererebbero il 40%.


In effetti bisogna considerare che nel 1996, quando la Lega Nord lanciò la secessione, i suoi voti complessivi in Italia Settentrionale erano attorno al 20%. Questo perché assieme alle zone dove faceva man bassa di voti ce n'erano altre in cui era poco radicata, o per la tradizione di sinistra (Emilia-Romagna, Liguria) o per la forte incidenza di immigrati meridionali sulla popolazione (Torino ancor piú di Milano).
Comunque bisogna anche tener presente che il "fastidio" verso i meridionali e l'adesione alle idee leghiste sono due cose che si sovrappongono solo in parte: ho conosciuto leghisti che non erano assolutamente contro i meridionali, ma contro una certa mentalità attribuita al meridione e contro i partiti "tradizionali" (che al Sud continuavano ad essere votati in misura maggiore che al Nord), e gente che non votava Lega ma che contro i meridionali provava invece un odio feroce.
Riccardo.cuordileone
00lunedì 22 gennaio 2007 11:54
Anzi c'è pure una piccola percentuale di meridionali che vota Lega, poerchè è l'unico partito di destra serio. Ne conosco pure qualcuno che è federalista.
-Kaname-chan
00lunedì 22 gennaio 2007 12:38

Una inchiesta svolta da Ilvo Diamanti e pubblicata nel 1996 dalla rivista Limes diceva che per il 36,5% dei padani l’indipendenza era «un'ipotesi inaccettabile», per l'8,5% «una via che porterebbe al disastro», ma per il 30, 7% «una prospettiva vantaggiosa sul piano concreto, ma inaccettabile» e per il 24,4% ««una prospettiva vantaggiosa ed auspicabile».

Di fronte a un referendum oggi ci si troverebbe molto probabilmente davanti a percentuali non dissimili da quelle scozzesi



Nessuno si è mai chiesto perché riporta un dato di 10 anni fa? I tempi sono cambiati, più che alla secessione la popolazione propende al federalismo. Nella prima metà degli anni '90 invece sembrava che una buona parte della popolazione del nord italia fosse propensa a secedere. Ma i motivi della secessione non sono mai stati di carattere etnico culturale nonostante il sole delle Alpi e le ampolle del Po. Più che di secessione infatti si sarebbe dovuto parlare di espulsione del sud dal resto dell'Italia (una volta ho visto un "passaporto padano" con inclusa l'Umbria e probabilmente il Lazio era stato omesso per motivi campanilistici milanesi)e questa epulsione era motivata dall'economia. Non a caso la propaganda leghista più di successo è stata quella del nord che manteneva il sud
Soga
00martedì 23 gennaio 2007 17:58

Scritto da: Riccardo.cuordileone 21/01/2007
Oltre agli interessi che stanno dietro alla graniticità di certo patriottismo, la resistenza viene anche da carenze di marketing: la storia padano-alpina è piena di Braveheart nostrani mai valorizzati o dimenticati ma soprattutto si paga l'immagine che viene fornita da certo indipendentismo nostrano.
Decisamente Calderoli non è Sean Connery.



Eccolo qui il problema dell’autonomismo in Italia: il fatto che se ne facciano portavoci quei beceri incivili e ignoranti dei leghisti, che più che occuparsi di federalismo si divertono a mischiare razzismo e populismo con bigottismo e fantastoria.

Comunque, non vedo quest’opposizione fra unità d’Italia e autonomie locali: perché una cosa dovrebbe escludere l’altra? Pochi ormai vogliono (per fortuna) smantellare l’Italia; semplicemente, è necessario valorizzarne le differenze e le peculiarità piuttosto che appiattirle sull’aria di un nazionalismo retorico.

[Modificato da Soga 23/01/2007 17.59]

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