Centocinquant’anni d’Italia o ventuno secoli di Patria?

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pius Augustus
00martedì 16 marzo 2010 15:41
Centocinquant’anni d’Italia o ventuno secoli di Patria?
di Paolo Quercia
L’Italia nasce nell’89 avanti Cristo, quando i popoli italici ottengono l’estensione della cittadinanza romana. Numerose tribù si unirono in una lega contro l’imperialismo di Roma e crearono uno stato denominato Italia. Il prossimo anno festeggia ventuno secoli di vita.

Con questo articolo inizia su LimesOnline la nuova rubrica di Paolo Quercia.*

Quanti secoli ha l’Italia? Appena uno e mezzo, se usiamo il metro dell’unità amministrativa. Almeno il doppio se risaliamo alla nascita di quel desiderio storico e politico d’Italia, prima letterario e poi d’azione, che emerge nel nostro paese a partire dal settecento e che nell’ottocento assumerà le forme del Risorgimento. Ma l’Italia non nasce affatto con il Risorgimento, che ne è solo la tarda realizzazione politico militare. Quella duplice, romantica ambizione ottocentesca all’unificazione della penisola e alla liberazione da potenze straniere, non rappresenta affatto un’idea nuova ma, anzi costituisce un antico progetto che viene da lontano.

Potremmo andare indietro di cinque secoli da oggi e trovare, nelle pagine del fondatore della moderna scienza politica, il fiorentino Machiavelli, ragionamenti protorisorgimentali che, seppure concepiti in un diverso contesto storico, sottendono un’analoga visione, ovverosia l’esistenza di un concetto politico d’Italia verso cui le diverse piccole Patrie comunali e le numerose signorie regnanti avrebbero dovuto convergere. Ai tempi della Firenze dei Medici non solo esisteva già un’idea d’Italia ma si affermava anche il ragionare politico circa una sua unità. La pluralità delle piccole Patrie conviveva con l’esistenza di un’idea d’Italia e il ragionare politico circa la sua realizzabilità muoveva i primi passi in un contesto in cui i comuni e le signorie italiche iniziano a fare i conti con l’emergere in Europa di un nuovo tipo di attori internazionali, gli Stati moderni a guida nazionale.

Nel Rinascimento italiano si possono rintracciare già i semi di quel processo lungo e contraddittorio che porterà a concepire lo Stato nazionale come punto d’equilibrio tra il particolarismo locale e l’universalismo imperiale. Ma anche l’uomo rinascimentale, che si poneva al centro della città e al centro dell’universo, e si apprestava a vivere come faber ipsius fortunae, non aveva fabbricato lui l’idea d’Italia ma essa gli pre-esisteva. Qualche secolo prima già Dante Alighieri ne dava una propria plastica visione, evocandone nel Canto IX dell’Inferno persino i confini geografici, non troppo distanti da quelli dell’attuale Repubblica italiana: “si come Arli ove Rodano stagna / si come a Pola presso del Quarnaro / che Italia chiude e i suoi termini bagna”.

Ma l’Italia di Dante, che innalza al cielo le cattedrali medioevali e afferma la libertà dell’autogoverno dei comuni e delle signorie - le più italiche tra le istituzioni politiche della nostra penisola – già si avviava a parlare una lingua comune, pur nelle sue numerose varianti regionali. Era la lingua che, due secoli dopo l’anno mille, Francesco aveva usato per innalzare a Dio il suo canto di amore e libertà in lingua volgare. Una lingua, nuova, non più dotta ma popolare, non più relitto di un impero universale che non c’era più ma nata dall’uso del volgo nel lungo e lento processo di trasformazione del latino nell’italiano.

Una trasformazione avvenuta nella travagliata notte della storia della nostra Patria, quando ci addormentammo parlando latino alla caduta dell’impero romano d’Occidente e ci risvegliammo all’alba dell’anno mille parlando l’italiano volgare.

In quei cinque secoli contrassegnati da invasioni barbariche, anarchia feudale, abbandono delle campagne, riduzione dei commerci, contrazione demografica si compie nella penisola quella miracolosa trasformazione dell’antica società romana nella nuova società italica. I popoli italici subiscono le invasioni barbariche dal Nord e le scorrerie di pirati e saraceni dal Sud, ma mantengono intatti alcuni tratti fondamentali delle antiche civiltà. In quei secoli bui vedono la luce in nuove forme le antiche istituzioni della società romana, la famiglia, la proprietà privata, la lingua romanza, il diritto comune, il sapere tecnico e artigianale. Si viene formando quel capitale umano che farà parlare il Carducci della “risorta nel mille itala gente” e constatare a Machiavelli che “in Italia non manca materia da introdurvi ogni forma e grande virtù vi è nelle membra”, nel mentre esorta il Principe “a pigliare la Italia e liberarla dalle mani de' barbari”.

Nei secoli successivi al mille può dirsi avviato il processo di formazione di quella che potremmo chiamare una Patria comune ai popoli italici. O meglio di molte piccole Patrie italiane, visto che a lungo il sentimento d’appartenenza rimarrà confinato nei valori municipali e comunali. Così fu per i Ciompi, che cacciati da Firenze combatterono per anni per potere rientrare nella loro Patria, nonostante avessero trovato accogliente esilio in altre terre. Solo a partire dal Rinascimento giungerà a farsi strada il problema dell’unità politica della penisola, problema che avrebbe trovato soluzione solo dopo cinque ulteriori secoli.

Solitamente c’è concordia nel rintracciare a cavallo dell’anno mille il periodo di nascita del popolo italiano, popolo che in quei secoli linguisticamente si è ormai sufficientemente diversificato tanto dalla lingua antica dei latini quanto da quella nuova dei popoli conquistatori, con i quali si stabilisce un processo di scambio sociale ed etnico. Ma se la storia può guidare la ricerca delle origini più prossime della nostra Patria almeno fino ad un millennio addietro, nessuno ci impedisce di cercare ancora più lontano tracce simboliche di una Patria più antica, assorbita all’interno di quel grande mosaico politico di popoli e di legge che fu l’impero universale di Roma.

una ricerca che a mio avviso dovrebbe condurre al 91 avanti Cristo, quando nell’Italia centrale numerosi popoli, militarmente soggetti a Roma ma esclusi dai privilegi della cittadinanza si ribellarono al dominio romano e diedero vita alla prima esperienza statale denominata Italia. Presso la città di Corfinium si riunirono Marsi, Peligni, Marrucini, Vestini, Piceni, Sanniti, Lucani e Apulii e lì decisero di fondare un nuovo Stato. Il primo denominato Italia. L’antica Corfinium fu ribattezzata Italica e venne elevata a Capitale (Caput imperii sui Corfinium legerant atque appellarant Italicam. Velleius Paterculus, II, 17). Elessero a proprio simbolo il toro, animale la cui etimologia riconduce alla stessa radice della parola Italia. La loro zecca batte per due anni una propria nuova moneta.
Le poche copie arrivate a noi mostrano da un lato il volto d’Italia vittoriosa cinta d’alloro con sotto incisa la parola “Italia” e dall’altro gli otto popoli che prestano giuramento d’unione. Altre monete mostrano un Toro che sconfigge e calpesta una Lupa. Il conflitto degli italiani con Roma, che prende storicamente il nome di guerre sociali, durò due anni e terminò con la concessione da parte di Roma della cittadinanza a tutti i popoli italici, con l’emanazione della Lex Plauta Papiria. Fu una legge di portata storica. Per la prima volta tutti i residenti in Italia che, nel termine di due mesi, avessero dichiarato ad un magistrato romano di voler diventare cittadini avrebbero ottenuto la cittadinanza romana.

Era l’89 avanti cristo e per la prima volta nella storia della penisola il concetto di cittadinanza fu esteso ai popoli italici, quelle tribù oltre gli Appennini che ribellandosi contro Roma per la disparità del loro status, diedero vita, breve ma simbolica, al primo stato denominato “Italia”. Roma si era politicamente e militarmente mossa nella penisola come una città stato, concedendo la cittadinanza su logiche non geografiche ma prettamente strategiche e militari. Prima delle guerre sociali godevano della cittadinanza romana alcune colonie greche dell’Italia meridionali, ma non ad esempio i popoli italici, specialmente quelli collocati oltre gli Appennini.

La prima Italia nacque dunque contro Roma ma sopravvisse solo tre anni e presto fu riassorbita dalla logica assimilatrice di Roma. Tuttavia, quell’atto di ribellione e soprattutto, quell’atto normativo dell’89 avanti Cristo può essere letto come l’ingresso su base paritaria dei popoli italici nella storia della penisola e in quella di Roma. A tale legge d’uguaglianza tra i popoli italici nell’impero romano possiamo far risalire il primo antecedente di una Patria degli italiani. Ottantanove avanti Cristo. Ventuno secoli fa nel 2011. E se fosse questo l’anniversario su cui riflettere e da commemorare nel duemila e undici?

Anticipazione dell’articolo in pubblicazione sul numero di Charta minuta n. 2/2010.

*Paolo Quercia è analista di relazioni internazionali. Coordinatore ricerca politica internazionale della fondazione Farefuturo e consulente del Centro Alti Studi Difesa.

Il logo della rubrica è la prima moneta coniata con incisa la parola "Italia", risalente all'89 avanti cristo e prodotta nella zecca di Corfinium. (L'immagine è tratta da lamoneta.it).
Faroaldo
00martedì 16 marzo 2010 19:40
Re:
Pius Augustus, 16/03/2010 15.41:

Centocinquant’anni d’Italia o ventuno secoli di Patria?
di Paolo Quercia
L’Italia nasce nell’89 avanti Cristo, quando i popoli italici ottengono l’estensione della cittadinanza romana. Numerose tribù si unirono in una lega contro l’imperialismo di Roma e crearono uno stato denominato Italia. Il prossimo anno festeggia ventuno secoli di vita.

Con questo articolo inizia su LimesOnline la nuova rubrica di Paolo Quercia.*

Quanti secoli ha l’Italia? Appena uno e mezzo, se usiamo il metro dell’unità amministrativa. Almeno il doppio se risaliamo alla nascita di quel desiderio storico e politico d’Italia, prima letterario e poi d’azione, che emerge nel nostro paese a partire dal settecento e che nell’ottocento assumerà le forme del Risorgimento. Ma l’Italia non nasce affatto con il Risorgimento, che ne è solo la tarda realizzazione politico militare. Quella duplice, romantica ambizione ottocentesca all’unificazione della penisola e alla liberazione da potenze straniere, non rappresenta affatto un’idea nuova ma, anzi costituisce un antico progetto che viene da lontano.

Potremmo andare indietro di cinque secoli da oggi e trovare, nelle pagine del fondatore della moderna scienza politica, il fiorentino Machiavelli, ragionamenti protorisorgimentali che, seppure concepiti in un diverso contesto storico, sottendono un’analoga visione, ovverosia l’esistenza di un concetto politico d’Italia verso cui le diverse piccole Patrie comunali e le numerose signorie regnanti avrebbero dovuto convergere. Ai tempi della Firenze dei Medici non solo esisteva già un’idea d’Italia ma si affermava anche il ragionare politico circa una sua unità. La pluralità delle piccole Patrie conviveva con l’esistenza di un’idea d’Italia e il ragionare politico circa la sua realizzabilità muoveva i primi passi in un contesto in cui i comuni e le signorie italiche iniziano a fare i conti con l’emergere in Europa di un nuovo tipo di attori internazionali, gli Stati moderni a guida nazionale.

Nel Rinascimento italiano si possono rintracciare già i semi di quel processo lungo e contraddittorio che porterà a concepire lo Stato nazionale come punto d’equilibrio tra il particolarismo locale e l’universalismo imperiale. Ma anche l’uomo rinascimentale, che si poneva al centro della città e al centro dell’universo, e si apprestava a vivere come faber ipsius fortunae, non aveva fabbricato lui l’idea d’Italia ma essa gli pre-esisteva. Qualche secolo prima già Dante Alighieri ne dava una propria plastica visione, evocandone nel Canto IX dell’Inferno persino i confini geografici, non troppo distanti da quelli dell’attuale Repubblica italiana: “si come Arli ove Rodano stagna / si come a Pola presso del Quarnaro / che Italia chiude e i suoi termini bagna”.

Ma l’Italia di Dante, che innalza al cielo le cattedrali medioevali e afferma la libertà dell’autogoverno dei comuni e delle signorie - le più italiche tra le istituzioni politiche della nostra penisola – già si avviava a parlare una lingua comune, pur nelle sue numerose varianti regionali. Era la lingua che, due secoli dopo l’anno mille, Francesco aveva usato per innalzare a Dio il suo canto di amore e libertà in lingua volgare. Una lingua, nuova, non più dotta ma popolare, non più relitto di un impero universale che non c’era più ma nata dall’uso del volgo nel lungo e lento processo di trasformazione del latino nell’italiano.

Una trasformazione avvenuta nella travagliata notte della storia della nostra Patria, quando ci addormentammo parlando latino alla caduta dell’impero romano d’Occidente e ci risvegliammo all’alba dell’anno mille parlando l’italiano volgare.

In quei cinque secoli contrassegnati da invasioni barbariche, anarchia feudale, abbandono delle campagne, riduzione dei commerci, contrazione demografica si compie nella penisola quella miracolosa trasformazione dell’antica società romana nella nuova società italica. I popoli italici subiscono le invasioni barbariche dal Nord e le scorrerie di pirati e saraceni dal Sud, ma mantengono intatti alcuni tratti fondamentali delle antiche civiltà. In quei secoli bui vedono la luce in nuove forme le antiche istituzioni della società romana, la famiglia, la proprietà privata, la lingua romanza, il diritto comune, il sapere tecnico e artigianale. Si viene formando quel capitale umano che farà parlare il Carducci della “risorta nel mille itala gente” e constatare a Machiavelli che “in Italia non manca materia da introdurvi ogni forma e grande virtù vi è nelle membra”, nel mentre esorta il Principe “a pigliare la Italia e liberarla dalle mani de' barbari”.

Nei secoli successivi al mille può dirsi avviato il processo di formazione di quella che potremmo chiamare una Patria comune ai popoli italici. O meglio di molte piccole Patrie italiane, visto che a lungo il sentimento d’appartenenza rimarrà confinato nei valori municipali e comunali. Così fu per i Ciompi, che cacciati da Firenze combatterono per anni per potere rientrare nella loro Patria, nonostante avessero trovato accogliente esilio in altre terre. Solo a partire dal Rinascimento giungerà a farsi strada il problema dell’unità politica della penisola, problema che avrebbe trovato soluzione solo dopo cinque ulteriori secoli.

Solitamente c’è concordia nel rintracciare a cavallo dell’anno mille il periodo di nascita del popolo italiano, popolo che in quei secoli linguisticamente si è ormai sufficientemente diversificato tanto dalla lingua antica dei latini quanto da quella nuova dei popoli conquistatori, con i quali si stabilisce un processo di scambio sociale ed etnico. Ma se la storia può guidare la ricerca delle origini più prossime della nostra Patria almeno fino ad un millennio addietro, nessuno ci impedisce di cercare ancora più lontano tracce simboliche di una Patria più antica, assorbita all’interno di quel grande mosaico politico di popoli e di legge che fu l’impero universale di Roma.

una ricerca che a mio avviso dovrebbe condurre al 91 avanti Cristo, quando nell’Italia centrale numerosi popoli, militarmente soggetti a Roma ma esclusi dai privilegi della cittadinanza si ribellarono al dominio romano e diedero vita alla prima esperienza statale denominata Italia. Presso la città di Corfinium si riunirono Marsi, Peligni, Marrucini, Vestini, Piceni, Sanniti, Lucani e Apulii e lì decisero di fondare un nuovo Stato. Il primo denominato Italia. L’antica Corfinium fu ribattezzata Italica e venne elevata a Capitale (Caput imperii sui Corfinium legerant atque appellarant Italicam. Velleius Paterculus, II, 17). Elessero a proprio simbolo il toro, animale la cui etimologia riconduce alla stessa radice della parola Italia. La loro zecca batte per due anni una propria nuova moneta.
Le poche copie arrivate a noi mostrano da un lato il volto d’Italia vittoriosa cinta d’alloro con sotto incisa la parola “Italia” e dall’altro gli otto popoli che prestano giuramento d’unione. Altre monete mostrano un Toro che sconfigge e calpesta una Lupa. Il conflitto degli italiani con Roma, che prende storicamente il nome di guerre sociali, durò due anni e terminò con la concessione da parte di Roma della cittadinanza a tutti i popoli italici, con l’emanazione della Lex Plauta Papiria. Fu una legge di portata storica. Per la prima volta tutti i residenti in Italia che, nel termine di due mesi, avessero dichiarato ad un magistrato romano di voler diventare cittadini avrebbero ottenuto la cittadinanza romana.

Era l’89 avanti cristo e per la prima volta nella storia della penisola il concetto di cittadinanza fu esteso ai popoli italici, quelle tribù oltre gli Appennini che ribellandosi contro Roma per la disparità del loro status, diedero vita, breve ma simbolica, al primo stato denominato “Italia”. Roma si era politicamente e militarmente mossa nella penisola come una città stato, concedendo la cittadinanza su logiche non geografiche ma prettamente strategiche e militari. Prima delle guerre sociali godevano della cittadinanza romana alcune colonie greche dell’Italia meridionali, ma non ad esempio i popoli italici, specialmente quelli collocati oltre gli Appennini.

La prima Italia nacque dunque contro Roma ma sopravvisse solo tre anni e presto fu riassorbita dalla logica assimilatrice di Roma. Tuttavia, quell’atto di ribellione e soprattutto, quell’atto normativo dell’89 avanti Cristo può essere letto come l’ingresso su base paritaria dei popoli italici nella storia della penisola e in quella di Roma. A tale legge d’uguaglianza tra i popoli italici nell’impero romano possiamo far risalire il primo antecedente di una Patria degli italiani. Ottantanove avanti Cristo. Ventuno secoli fa nel 2011. E se fosse questo l’anniversario su cui riflettere e da commemorare nel duemila e undici?

Anticipazione dell’articolo in pubblicazione sul numero di Charta minuta n. 2/2010.

*Paolo Quercia è analista di relazioni internazionali. Coordinatore ricerca politica internazionale della fondazione Farefuturo e consulente del Centro Alti Studi Difesa.

Il logo della rubrica è la prima moneta coniata con incisa la parola "Italia", risalente all'89 avanti cristo e prodotta nella zecca di Corfinium. (L'immagine è tratta da lamoneta.it).



Poveri noi, si avvicina il 150ario del funesto evento e la retorica patriottarda comincia a scatenarsi. I popoli italici lottavano per la loro liberta', non per quella dei Celti o dei Greci o degli Etruschi o dei reti o dei Veneti... Tantomeno per i Latini ...



Pius Augustus
00martedì 16 marzo 2010 20:46
lol retorica patriottarda su limes
Faroaldo
00martedì 16 marzo 2010 21:02
Re:
Pius Augustus, 16/03/2010 20.46:

lol retorica patriottarda su limes



Limes e' su posizioni intransigentemente patriottiche, anche se sul versante sinistro.



Faroaldo
00martedì 16 marzo 2010 22:50
Re:
Pius Augustus, 16/03/2010 15.41:

Centocinquant’anni d’Italia o ventuno secoli di Patria?
di Paolo Quercia
L’Italia nasce nell’89 avanti Cristo, quando i popoli italici ottengono l’estensione della cittadinanza romana. Numerose tribù si unirono in una lega contro l’imperialismo di Roma e crearono uno stato denominato Italia. Il prossimo anno festeggia ventuno secoli di vita.

Con questo articolo inizia su LimesOnline la nuova rubrica di Paolo Quercia.*

Quanti secoli ha l’Italia? Appena uno e mezzo, se usiamo il metro dell’unità amministrativa. Almeno il doppio se risaliamo alla nascita di quel desiderio storico e politico d’Italia, prima letterario e poi d’azione, che emerge nel nostro paese a partire dal settecento e che nell’ottocento assumerà le forme del Risorgimento. Ma l’Italia non nasce affatto con il Risorgimento, che ne è solo la tarda realizzazione politico militare. Quella duplice, romantica ambizione ottocentesca all’unificazione della penisola e alla liberazione da potenze straniere, non rappresenta affatto un’idea nuova ma, anzi costituisce un antico progetto che viene da lontano.

Potremmo andare indietro di cinque secoli da oggi e trovare, nelle pagine del fondatore della moderna scienza politica, il fiorentino Machiavelli, ragionamenti protorisorgimentali che, seppure concepiti in un diverso contesto storico, sottendono un’analoga visione, ovverosia l’esistenza di un concetto politico d’Italia verso cui le diverse piccole Patrie comunali e le numerose signorie regnanti avrebbero dovuto convergere. Ai tempi della Firenze dei Medici non solo esisteva già un’idea d’Italia ma si affermava anche il ragionare politico circa una sua unità. La pluralità delle piccole Patrie conviveva con l’esistenza di un’idea d’Italia e il ragionare politico circa la sua realizzabilità muoveva i primi passi in un contesto in cui i comuni e le signorie italiche iniziano a fare i conti con l’emergere in Europa di un nuovo tipo di attori internazionali, gli Stati moderni a guida nazionale.

Nel Rinascimento italiano si possono rintracciare già i semi di quel processo lungo e contraddittorio che porterà a concepire lo Stato nazionale come punto d’equilibrio tra il particolarismo locale e l’universalismo imperiale. Ma anche l’uomo rinascimentale, che si poneva al centro della città e al centro dell’universo, e si apprestava a vivere come faber ipsius fortunae, non aveva fabbricato lui l’idea d’Italia ma essa gli pre-esisteva. Qualche secolo prima già Dante Alighieri ne dava una propria plastica visione, evocandone nel Canto IX dell’Inferno persino i confini geografici, non troppo distanti da quelli dell’attuale Repubblica italiana: “si come Arli ove Rodano stagna / si come a Pola presso del Quarnaro / che Italia chiude e i suoi termini bagna”.

Ma l’Italia di Dante, che innalza al cielo le cattedrali medioevali e afferma la libertà dell’autogoverno dei comuni e delle signorie - le più italiche tra le istituzioni politiche della nostra penisola – già si avviava a parlare una lingua comune, pur nelle sue numerose varianti regionali. Era la lingua che, due secoli dopo l’anno mille, Francesco aveva usato per innalzare a Dio il suo canto di amore e libertà in lingua volgare. Una lingua, nuova, non più dotta ma popolare, non più relitto di un impero universale che non c’era più ma nata dall’uso del volgo nel lungo e lento processo di trasformazione del latino nell’italiano.

Una trasformazione avvenuta nella travagliata notte della storia della nostra Patria, quando ci addormentammo parlando latino alla caduta dell’impero romano d’Occidente e ci risvegliammo all’alba dell’anno mille parlando l’italiano volgare.

In quei cinque secoli contrassegnati da invasioni barbariche, anarchia feudale, abbandono delle campagne, riduzione dei commerci, contrazione demografica si compie nella penisola quella miracolosa trasformazione dell’antica società romana nella nuova società italica. I popoli italici subiscono le invasioni barbariche dal Nord e le scorrerie di pirati e saraceni dal Sud, ma mantengono intatti alcuni tratti fondamentali delle antiche civiltà. In quei secoli bui vedono la luce in nuove forme le antiche istituzioni della società romana, la famiglia, la proprietà privata, la lingua romanza, il diritto comune, il sapere tecnico e artigianale. Si viene formando quel capitale umano che farà parlare il Carducci della “risorta nel mille itala gente” e constatare a Machiavelli che “in Italia non manca materia da introdurvi ogni forma e grande virtù vi è nelle membra”, nel mentre esorta il Principe “a pigliare la Italia e liberarla dalle mani de' barbari”.

Nei secoli successivi al mille può dirsi avviato il processo di formazione di quella che potremmo chiamare una Patria comune ai popoli italici. O meglio di molte piccole Patrie italiane, visto che a lungo il sentimento d’appartenenza rimarrà confinato nei valori municipali e comunali. Così fu per i Ciompi, che cacciati da Firenze combatterono per anni per potere rientrare nella loro Patria, nonostante avessero trovato accogliente esilio in altre terre. Solo a partire dal Rinascimento giungerà a farsi strada il problema dell’unità politica della penisola, problema che avrebbe trovato soluzione solo dopo cinque ulteriori secoli.

Solitamente c’è concordia nel rintracciare a cavallo dell’anno mille il periodo di nascita del popolo italiano, popolo che in quei secoli linguisticamente si è ormai sufficientemente diversificato tanto dalla lingua antica dei latini quanto da quella nuova dei popoli conquistatori, con i quali si stabilisce un processo di scambio sociale ed etnico. Ma se la storia può guidare la ricerca delle origini più prossime della nostra Patria almeno fino ad un millennio addietro, nessuno ci impedisce di cercare ancora più lontano tracce simboliche di una Patria più antica, assorbita all’interno di quel grande mosaico politico di popoli e di legge che fu l’impero universale di Roma.

una ricerca che a mio avviso dovrebbe condurre al 91 avanti Cristo, quando nell’Italia centrale numerosi popoli, militarmente soggetti a Roma ma esclusi dai privilegi della cittadinanza si ribellarono al dominio romano e diedero vita alla prima esperienza statale denominata Italia. Presso la città di Corfinium si riunirono Marsi, Peligni, Marrucini, Vestini, Piceni, Sanniti, Lucani e Apulii e lì decisero di fondare un nuovo Stato. Il primo denominato Italia. L’antica Corfinium fu ribattezzata Italica e venne elevata a Capitale (Caput imperii sui Corfinium legerant atque appellarant Italicam. Velleius Paterculus, II, 17). Elessero a proprio simbolo il toro, animale la cui etimologia riconduce alla stessa radice della parola Italia. La loro zecca batte per due anni una propria nuova moneta.
Le poche copie arrivate a noi mostrano da un lato il volto d’Italia vittoriosa cinta d’alloro con sotto incisa la parola “Italia” e dall’altro gli otto popoli che prestano giuramento d’unione. Altre monete mostrano un Toro che sconfigge e calpesta una Lupa. Il conflitto degli italiani con Roma, che prende storicamente il nome di guerre sociali, durò due anni e terminò con la concessione da parte di Roma della cittadinanza a tutti i popoli italici, con l’emanazione della Lex Plauta Papiria. Fu una legge di portata storica. Per la prima volta tutti i residenti in Italia che, nel termine di due mesi, avessero dichiarato ad un magistrato romano di voler diventare cittadini avrebbero ottenuto la cittadinanza romana.

Era l’89 avanti cristo e per la prima volta nella storia della penisola il concetto di cittadinanza fu esteso ai popoli italici, quelle tribù oltre gli Appennini che ribellandosi contro Roma per la disparità del loro status, diedero vita, breve ma simbolica, al primo stato denominato “Italia”. Roma si era politicamente e militarmente mossa nella penisola come una città stato, concedendo la cittadinanza su logiche non geografiche ma prettamente strategiche e militari. Prima delle guerre sociali godevano della cittadinanza romana alcune colonie greche dell’Italia meridionali, ma non ad esempio i popoli italici, specialmente quelli collocati oltre gli Appennini.

La prima Italia nacque dunque contro Roma ma sopravvisse solo tre anni e presto fu riassorbita dalla logica assimilatrice di Roma. Tuttavia, quell’atto di ribellione e soprattutto, quell’atto normativo dell’89 avanti Cristo può essere letto come l’ingresso su base paritaria dei popoli italici nella storia della penisola e in quella di Roma. A tale legge d’uguaglianza tra i popoli italici nell’impero romano possiamo far risalire il primo antecedente di una Patria degli italiani. Ottantanove avanti Cristo. Ventuno secoli fa nel 2011. E se fosse questo l’anniversario su cui riflettere e da commemorare nel duemila e undici?

Anticipazione dell’articolo in pubblicazione sul numero di Charta minuta n. 2/2010.

*Paolo Quercia è analista di relazioni internazionali. Coordinatore ricerca politica internazionale della fondazione Farefuturo e consulente del Centro Alti Studi Difesa.

Il logo della rubrica è la prima moneta coniata con incisa la parola "Italia", risalente all'89 avanti cristo e prodotta nella zecca di Corfinium. (L'immagine è tratta da lamoneta.it).



Farefuturo, emanazione dell'ex AN. Non stupisce che scriva queste cose. Ma il fenomeno comunale non fu italiano, fu tosco-umbro-padano. E gli italici erano solo una piccola parte dei popoli che vivevano nell'attuale italia. Come si fa ad attribuire questi fenomeni all'Italia intera?

E poi la solita storia dei "dialetti" che sarebbero varianti corrotte dell'italiano, insostenibile dal punto di vista scientifico. I "dialetti" padani sono parti del sistema linguistico galloromanzo cisalpino, che e' un'altra lingua rispetto all'italiano.










-Giona-
00mercoledì 17 marzo 2010 10:25
Per quanto patriottici possano essere i proponenti, la Guerra Sociale come "idea fondante della nazione italiana" sarebbe intrinsecamente anti-romana. Sarebbe potuta andar bene se, durante il Risorgimento, il neonato Regno d'Italia avesse sdegnosamente rifiutato di annettere il Lazio e Roma, ancora parte dello Stato Pontificio, in quanto "roba del papa", di cui la nuova Italia non avrebbe avuto bisogno.
Inoltre bisogna tener presente che la Guerra Sociale per svariati decenni non ebbe ripercussioni nella Gallia Cisalpina, che iniziò ad essere considerata parte d'Italia solo dal tempo di Augusto.
Riccardo.cuordileone
00mercoledì 17 marzo 2010 11:16
Secondo me Limes confonde il sentimento di entità nazionale italiano, esistito solo in piccolissima parte prima della I GM, con una sorta di panitalinismo che si può facilmente paragonare al pangermanesimo tedesco o al panslavismo russo.
Personalmente ritengo che l'Italia come la conosciamo noi esiste politicamente da 150 anni e sentimentalmente da meno di 100.
Vota DC
00venerdì 2 aprile 2010 16:46
La guerra sociale terrebbe fuori le isole,quindi non andrebbe ai risorgimentali.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 17:49.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com