Bozza calderoli per il federalismo fiscale

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DarkWalker
00martedì 5 agosto 2008 15:43
Federalismo, solo sette Regioni «autosufficienti»


Tutto si gioca sul «benchmark ». Il criterio-guida, la pietra angolare della complessa architettura del federalismo fiscale che si metterà in moto a settembre è tutta in quattro righe dello schema di Ddl delega che il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli ha presentato la scorsa settimana a Regioni ed enti locali. In quelle righe (all'articolo 5, comma 3, lettera g, per gli appassionati del genere) si dice che la nuova fiscalità autonoma, quella fatta dai tributi propri e dalle aliquote di compartecipazione, deve essere sufficiente a finanziare integralmente le competenze decentrate «in almeno tre Regioni».

Questione di parametri
Ecco, tutto dipende da quali saranno le tre Regioni-benchmark, e se saranno davvero solo tre. Fissata l'asticella, infatti, le altre dovranno trovare i mezzi per farcela.
Con la perequazione, certo, cioè con il contributo che le Regioni ricche metteranno sul piatto destinato a «ridurre adeguatamente » il dislivello con i territori più poveri.
Ma soprattutto con l'efficientamento della spesa, su cui la proposta Calderoli punta tutte le sue carte. È il sistema competenze in periferia-soldi dal centro, sostengono infatti le premesse al Ddl delega, che ha fatto impazzire la spesa pubblica: una prova? La sanità, che nel '98 costava 55 miliardi e oggi ne brucia il doppio.
Più in alto sarà collocata l'asticella,più il motore dellarazionalizzazione (e dei tagli di spesa) dovrà essere potente. E più si libereranno risorse per le Regioni che dal proprio territorio riescono a ricavare una dote fiscale maggiore.

Il dare-avere
La fotografia del rapporto fra dare (tasse) e avere (servizi) tra Stato e territori, realizzata da ultimo da uno studio condotto per Confindustria da Massimo Bordignon, docente di Scienza delle Finanze alla Cattolica di Milano, mostra l'Italia alla vigilia del Fisco federale: le Regioni in cui la pressione fiscale genera più risorse di quante ne vengono spese in servizi sono solo sette. Nelle altre 14 (Province autonome comprese), la dinamica è opposta, e il Fisco autoctono non basta da solo ad alimentare la spesa pubblica attuale. Brutalmente, dal freno alla mobilità delle risorse fiscali il primo gruppo ha tutto da guadagnare, perché oggi produce più entrate che spese per servizi. Tra 2002 e 2006 (la media quadriennale è necessaria per scontare le oscillazioni di cassa), per esempio, ogni lombardo ha dato al Fisco, nelle sue varie forme, 13.700 euro, ricevendone solo 8.850 in termini di spesa pubblica. In credito con il «pubblico», anche se in misura più contenuta, sono anche emiliani (3.450 euro a testa), veneti (2.900 euro), piemontesi (1.900 euro), e, lontano dal Nord, i cittadini di Marche (1.150 euro) e Lazio (1.500). Gli altri (32,2 milioni di italiani) sono tutti, chi più chi meno, in rosso, fino al record dei 3mila euro che ogni valdostano riceve in media più di quanto paga in tasse.

Tra numeri e politica
Due avvertenze sono indispensabili: con il federalismo, almeno secondo i suoi (ormai numerosissimi) propugnatori, cambia tutto, a partire da una più razionale distribuzione delle competenze e da un (si spera) più stringente controllo dei cittadini, alimentato dal legame più stretto di taxation e representation.
E i calcoli, condotti sulla base delle conti pubblici territoriali del ministero del Tesoro abbracciano tutta la spesa, centrale e locale. Ma se non è immediatamente sovrapponibile alle ipotesi di Fisco federalee di perequazione, il conto del dare- avere veste invece molto bene le speranze e le opzioni politiche che in questi anni hanno animato il dibattito del lungo cantiere federalista. La spinta delle Regioni ricche del Nord, i timori del Mezzogiorno e la freddezza degli Statuti autonomi settentrionali, Trento e Bolzano in testa, che ha cominciato a trasformarsi in opposizione quando nel Ddl delega si è affacciata l'idea di una partecipazione dei loro solidi bilanci alla "solidarietà" interregionale. A spiegarne ancora più chiaramente i motivi è un'altra elaborazione, condotta dal direttore generale di Assonime Stefano Micossi, che permette di misurare il rapporto fra reddito pro capite e trasferimenti statali (dati 2006). A guidare la classifica sono Valle d'Aosta, Sardegna e Trentino Alto Adige.
La Valle d'Aosta, ad esempio, per ogni 100 euro di reddito prodotto ne riceve 26,2 dallo Stato: oltre 13 volte in più della Lombardia, che ne riceve 1,9, ma la dote è assai ricca anche in confronto a territori in difficoltà come Puglia e Calabria, che viaggiano intorno ai 7 euro di trasferimenti ogni 100 euro pro capite.

Obiettivo efficienza
Ma i calcoli dicono anche molto per quel che riguarda l'articolazione della spesa pubblica. Che, a dispetto di qualche stereotipo nordista, in Campania è la più bassa d'Italia anche se, nonostante questo, vola più in alto rispetto al gettito fiscale locale. E anche in Calabria e Sicilia rimane lontana dalla vetta, che tra le Regioni a Statuto ordinario è raggiunta in Liguria (Trentino e Valle d'Aosta sono a distanze siderali). Certo, al livello della Calabria si colloca la spesa del Veneto. E ogni tentativo di comparare il livello di servizi fra le due Regioni spiega meglio di ogni altro dato che il sistema attuale è da cambiare.


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